Sono giorni che nei palazzi della politica si rincorrono le voci di un possibile rinvio referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari che si dovrebbe svolgere il 29 marzo, e i primi a chiedere uno slittamento della consultazione popolare sono stati proprio i Radicali e +Europa, storici paladini di mille battaglie referendarie. Ma adesso, in piena emergenza sanitaria, su questa ipotesi si inizia a interrogare anche il Governo che, come ha annunciato ieri il ministro per i rapporti con il Parlamento, il pentastellato Federico D’Incà, prenderà una decisione entro domani. In base anche all’andamento dell’incidenza del Coronavirus e la necessità di avere un tempo adeguato per la campagna referendaria, l’ipotesi più accreditata, nel caso dovesse essere spostato, è quella di prendere in considerazione le date del 17 o il 24 maggio.
Non viene infatti escluso che la consultazione possa essere accorpata alle elezioni regionali e comunali, in un unico election day: anche se non ci sono precedenti in tal senso, nulla osterebbe. Ne è convinto il costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti: “Non esiste nessun divieto di accorpamento per i referendum confermativi, ce n’è solo uno per gli abrogativi ma riguarda solo le politiche, tant’è che nel 2009 il referendum abrogativo Guzzetta fu abbinato al secondo turno delle amministrative proprio per evitare tre scadenze diverse ravvicinate”. Ma è lo stesso Ceccanti a sottolineare comunque il fatto che “Rinviare è una scelta delicatissima che si può fare per decreto, ma certo ci devono essere ragioni serissime come l’indisponibilità dei locali scolastici. Qualora si decidesse di rinviare mi sembra difficile non accorpare con le regionali perché altrimenti in molte località a poche settimane di distanza le urne si aprirebbero tre volte: primo turno con le regionali, secondo turno con le amministrative e referendum”.
Chiamare i cittadini alle urne per le elezioni locali e per il referendum nella stessa giornata consentirebbe anche un risparmio in termini di costi, visto che le prime risorse sono già state impegnate in quanto la macchina operativa si è già messa in moto. A queste considerazioni si aggiungono poi valutazioni più squisitamente politiche che riguardano la durata della legislatura e il destino del governo: assodata ormai l’impraticabilità della strada delle elezioni anticipate prima dello svolgimento del referendum, spostare a maggio la data della consultazione popolare, per alcuni, significherebbe blindare l’esecutivo fino a tutto il 2020.
IL PUNTO DELLA SITUAZIONE. Ed è quindi probabile che il premier Giuseppe Conte, già a partire dal vertice serale di Palazzo Chigi sul Coronaviru di ieri sera, in cui ha convocato tutti i capigruppo, abbia già interpellato le forze di maggioranza ed opposizione sulla questione per un primo giro di opinioni, come peraaltro auspicato anche dal Colle. In ogni caso i promotori – i 71 senatori che hanno raccolto le firme necessarie per il via libera al referendum – hanno fatto sapere in una nota indirizzata al Governo che lo stesso, prima di decidere, ha “l’obbligo politico, morale e istituzionale di consultarli”. Per il Pd l’ultima parola spetta a Conte, mentre appare più netta la posizione del Movimento 5 stelle che, come dichiara il capo politico Vito Crimi, non ritiene “si debba rinviare un appuntamento così importante”. Detto questo, però puntualizza: “Non è una decisione esclusivamente politica, deve basarsi su un approfondimento accurato e valutazioni tecniche sulla possibilità di tutelare la salute pubblica in primis”.
Tranchant Matteo Renzi: “Penso che alla luce del Coronavirus si debba anticipare il decreto sul taglio delle tasse. Il referendum peraltro non interessa nemmeno gli addetti ai lavori”. Questione di priorità, insomma. La Lega, pur schierata a favore del sì al taglio dei parlamentari, non si pronuncia sull’opportunità o meno di un rinvio: “Decida il Governo”, fa sapere Salvini. Infine, Giorgia Meloni si rimette alle decisioni delle autorità competenti, anche se, afferma, “io sarei per rispettare la scadenza”, anche perché “finché non si celebra il referendum ci diranno che non si può votare”.