di Gaetano Pedullà
Chi legge da tempo questo giornale sa bene che non abbiamo grande fiducia nella capacità di un governo di larghe intese nel fare le riforme radicali che servono al Paese. Alcune cose Letta e i suoi ministri – lo abbiamo detto più volte – le faranno, ma l’essenza stessa di una coalizione più dei grandi dissidi che delle grandi convergenze, per non parlare delle tensioni innescate da tribunali a caccia di streghe travestite da Ruby, non permetterà di andare oltre. Nessuno metterà mano alla riforma della giustizia e dello Stato. Le vaste fasce di privilegi sopravvivranno a tutto. Si navigherà a vista, sperando di non trovarsi davanti scogli improvvisi e troppo grandi, per non fare la fine del Titanic. Quando però alcune cose il governo le fa, ne diamo volentieri atto. Non cambieranno le sorti del Paese, non ci tireranno fuori dalle secche della crisi, ma i provvedimenti varati ieri da Palazzo Chigi vanno tiepidamente nella direzione giusta.
Niente aumento dell’Iva, stop all’acquisto dei caccia F35, incentivi alle imprese che assumono, sono atti sacrosanti. Quello che stona è che anche nella direzione giusta l’esecutivo si faccia strada con strabordante prudenza. L’aumento dell’Iva slitta, ma solo di tre mesi. I caccia non si comprano, ma si passa al Parlamento la patata bollente, che potrebbe tornare indietro a Palazzo Chigi più incandescente di prima. Anche gli aiuti all’occupazione sono pieni di paletti e sul piatto viene messo appena un miliardo e mezzo: pinzillacchere! Peccato. Perché di fronte a una situazione di emergenza straordinaria – com’è la crisi che sta travolgendo buona parte del pianeta e l’Europa in particolare – continuare a rinviare le grandi scelte equivale a nascondere la testa sotto la sabbia. Si prende tempo, va bene, ma i nodi si fanno sempre più grossi e difficili – per chi verrà – da sciogliere. Oggi, dunque, diciamo bene a Enrico Letta. Ma con vittorie di Pirro così non facciamoci illusioni di come andrà a finire la guerra per uscire dal declino.