Matteo Renzi, al di là di come la si pensi politicamente, ha comunque mostrato di avere una marcia in più rispetto alla media. Quella capacità che ricorda un altro protagonista del periodo riformista della politica italiana, Bettino Craxi. Entrambi hanno preso un partito riformista, quello socialista per Craxi e quello democratico per Renzi, e li hanno fatti diventare egemoni. Entrambi hanno cavalcato l’ideale dell’uomo forte, tanto che sia Bettino che Matteo venivano disegnati nelle vignette con gli stivaloni del duce ed entrambi sono stati apprezzati a destra (uno lo è ancora). Entrambi si sono opposti, anche coraggiosamente, a Usa e Ue e ne hanno pagato dazio. Data questa somiglianza di comportamenti e di proiezione immaginifica nell’elettorato, ci si può chiedere con cognizione di causa se i due possano avere un destino simile.
Ed in effetti alcuni prodromi giudiziari che riguardano il senatore toscano possono farlo ritenere, fermo restando che la giustizia fa il suo corso e non deve guardare in faccia nessuno. Tuttavia, chi conosce la storia d’Italia in maniera non superficiale e senza per questo essere neppure complottista, può scorgere da alcuni segni che l’humus della Repubblica è molto reattivo alla figura di Renzi il quale, non dimentichiamolo, ha tentato di cambiarle legislativamente i connotati ed anzi proprio a causa del referendum costituzionale sono iniziati i suoi guai.
Renzi non vuole solo il potere, ma da attento giocatore di scacchi è tornato al governo anche per puntellare la sua posizione personale ben conscio degli eventi numinosi che si erano palesati dopo la sua caduta. Craxi ha rappresentato, nel bene e nel male, un cambiamento storico e strutturale del socialismo non solo italiano ma europeo e in un periodo in cui nella sinistra internazionale ancora era acceso il dibattito tra la via sovietica e quella appunto dell’eurosocialismo. Si contrapponevano bisogni e meriti sullo sfondo di una rivoluzione tecnologica mondiale che avrebbe segnato i nuovi modi di produzione capitalistica. Si cercava di tenere insieme anelito alla modernità e allo sviluppo con i valori tradizionali del socialismo riformista.
Craxi è andato in crisi e poi travolto da Mani Pulite quando ha osato “marcare il territorio” con i carabinieri che circondarono i marines Usa a Sigonella, mentre Renzi ha pagato una certa contrapposizione, più che altro caratteriale che fattuale, con chi comandava a Bruxelles. Facendo anche un moderato e parsimonioso ricorso alla teoria di Giovambattista Vico c’è quindi da prevedere un possibile inasprimento del suo percorso umano, destino, peraltro, che spesso attende gli ex potenti e coloro che si sono troppo esposti. L’ “effetto Icaro” è una delle poche leggi certe della sociologia politica e Renzi, come Craxi, rischia che la cera delle sue ali riformiste si sciolga nei turbinosi cieli della Repubblica.