Il giovane studente egiziano dell’Università di Bologna, Patrick George Zaky, arrestato nei giorni scorsi al suo rientro al Cairo, è stato “picchiato e torturato per 30 ore” in Egitto per conoscere “i suoi legami con l’Italia e con la famiglia di Giulio Regeni”. E’ quanto afferma la famiglia del giovane studente egiziano in un’intervista a Repubblica. “Non sappiamo perché Patrick sia stato arrestato”, ha spiegato uno dei suoi avvocati, Wael Ghally, “abbiamo soltanto due certezze. La prima è che nei suoi confronti è stato emesso un mandato di comparizione il 24 settembre ma nessuno glielo ha comunicato. Per questo è stato fermato alla frontiera”. “La seconda – ha aggiunto il legale – è che lì è stato bendato e portato da qualche parte al Cairo. E’ stato detenuto e interrogato per 30 ore, torturato. Lo picchiavano e gli chiedevano dei suoi legami con l’Italia e con la famiglia di Giulio Regeni. Patrick non sa nulla di tutto questo. Così alla fine lo hanno trasferito qui a Mansura”.
“Sui diritti umani l’Italia non resta in silenzio. I diritti umani valgono per tutti – scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a proposito del caso Zaky -, indipendentemente dalla nazionalità. Ecco le mie due interviste di oggi sul caso di Patrick Zaky, che l’Italia segue da vicino e che inevitabilmente ci riporta al dolore e alla rabbia per quanto accaduto a Giulio Regeni. Non smetteremo mai di cercare la verità. L’ambasciata sta portando avanti tutte le azioni che servono non solo per ottenere tutte le informazioni, ma per interessare i cosiddetti organi di garanzia. Il ragazzo è egiziano. Comunque, al di là della nazionalità, l’Italia è sempre impegnata per il rispetto dei diritti umani. Abbiamo chiesto che l’Italia possa seguire tutti i passaggi del processo. Stiamo attivando tutti i soggetti per conoscere che cosa è successo”.
“Ho avuto modo di incontrare i genitori di Giulio Regeni – ha detto ancora Di Maio – e pubblicamente ho detto una cosa molto chiara: l’obiettivo che ci siamo dati fin dalla nascita di questo governo è la riattivazione del dialogo tra le procure, che era rimasto interrotto per un anno. Il 14 gennaio c’è stato un primo incontro tecnico, adesso – quando Roma avrà nominato il suo nuovo procuratore capo – dovrà esserci un vertice ai massimi livelli. Quella sarè la prova del nove delle disponibilità. Non sono Alice nel Paese delle meraviglie, so che non sarà facile, ma mi aspetto concretezza. Vogliamo che i colpevoli siano individuati e puniti. Questo processo di conoscenza e di richiesta di giustizia però può essere portato avanti solo avendo un ambasciatore lì. Lo stesso vale per l’aiuto che possiamo dare a Patrick Zaky proprio per il fatto che al Cairo l’Italia c’è”.