Mentre sale la tensione nel centrodestra per la scelta dei candidati nelle regioni al voto in primavera, Giorgia Meloni chiede il rispetto dei patti – soprattutto all’alleato leghista – e rinsalda l’asse con il primo ministro ungherese Viktor Orban, aprendo ieri a Roma i lavori della due giorni sovranista, la “National Conservatism Conference”. All’evento della destra conservatrice e nazionalista curato dalla fondazione americana Edmund Burke Foundation, a cui partecipano tra gli altri il presidente del gruppo ECR al Parlamento Europeo Ryszard Legutko, Marion Maréchal, l’intellettuale conservatore inglese Douglas Murray, il presidente dell’American Enterprise Institute e già stretto collaboratore di Reagan Christopher DeMuth e il saggista Yoram Hazony, non è invece presente (anche se era in programma) il leader della Lega Matteo Salvini, impegnato in Sicilia. Dove, peraltro, è stato contestato da centinaia di persone riunite a piazza Mediterraneo nel cuore del mercato di Ballarò, a Palermo.
Scopo della due giorni siciliana del Capitano è quello di “stringere” sull’ingresso dei salviniani nella giunta di Nello Musumeci. Questo il succo del discorso nell’incontro privato a Palazzo d’Orleans con il governatore (in quota Fratelli d’Italia), dopo la formazione del gruppo della Lega all’Ars, ora diventa concreto l’ingresso dei leghisti siciliani nella squadra di governo. Ma intanto a Roma Giorgia si porta “avanti”: la sua presenza all’appuntamento annuale ideato dalla Burke Foundation dimostra la consapevolezza della necessità per l’area sovranista di avere una solida sponda a livello internazionale – oggi FdI è centrale nello scacchiere europeo con la copresidenza di Raffaele Fitto del gruppo dei conservatori -, e la capacità di aver intessuto rapporti sempre più forti con i Repubblicani americani, che si concretizzeranno con il viaggio della Meloni negli Usa.
Domani e dopodomani sarà al “National Prayer Breakfast”, il sit in di preghiera dei repubblicani americani a Washington e dal 26 al 29 febbraio volerà in Maryland per partecipare al Conservative Political Action Conference 2020 (Cpac), la conferenza che ogni anno riunisce gli esponenti del conservatorismo mondiale. Il tutto in un’ottica sempre coerentemente filo-atlantica, senza ammiccamenti filo putiniani imputabili al suo alleato Salvini, che oggettivamente mostra di avere rapporti oltre Oceano meno stabili e uno standing internazionale meno accattivante della leader di FdI. La golden share della coalizione di centrodestra è ancora saldamente in mano a Salvini che, nonostante la pesante sconfitta personale in Emilia Romagna, è a capo del primo partito italiano e saldamente in testa nei sondaggi anche se insediata in maniera costante da mesi da FdI.
E l’immagine di Giorgia sta acquistando in queste ultime settimane sempre più autorevolezza: il Times l’ha inserita, unica italiana, in una lista di personalità da tenere d’occhio, “i venti volti che potrebbero dare forma al mondo nel 2020”, un endorsement che rappresenta la ciliegina sulla torta di un anno di scalate della giovane leader romana, fra alleanze in Europa e Usa e un cambio dei toni che non è passato inosservato. Parola d’ordine: essere meno irruenta del suo diretto competitor. Cioè Salvini. Perché la competizione non è solo all’esterno con la sinistra, è evidente. E perché essere di destra, popolari e anche un po’ populisti non vuol dire essere sempre sopra le righe. Talvolta, anche in politica, vale la massima less is more.