Dalle indagini sulla Popolare di Bari sembra emergere nuovamente la piaga di un sistema di controlli incapace di evitare crack simili e di proteggere dunque i risparmiatori. Anche in questo caso tanto le verifiche della Banca d’Italia quanto quelle della Consob non hanno infatti bloccato subito quella che è diventata una strada senza ritorno e come sempre finita poi con il solito salvataggio di Stato a spese di tutti i contribuenti. Qualcosa di più, secondo lo stesso gip Francesco Pellecchia poteva essere fatto, ma Palazzo Koch si sarebbe accontentato delle rassicurazioni dei manager dell’istituto di credito in crisi. “La Banca d’Italia – evidenzia il giudice – a fronte di un’inerzia protrattasi per diversi anni, qualora non indotta in errore dalle plurime false comunicazioni trasmesse, avrebbe potuto ai sensi dell’art. 53-bis, comma 1, lettera e) del TUB, provvedere alla rimozione di uno o più esponenti aziendali qualora la loro permanenza in carica fosse di pregiudizio per la sana e prudente gestione della banca”.
Un mancato intervento reso ancor più evidente dalle dichiarazioni rese agli inquirenti dal coindagato Giorgio Papa, il quale, nel corso dell’interrogatorio del 7 novembre scorso, ha riferito che, “nonostante i vertici di Bankitalia fossero perfettamente a conoscenza della persistenza di tutte le situazioni oggetto di specifico rilievo, nonché della conclamata indifferenza di BPB alle formali contestazioni, non hanno mai esercitato i poteri di “removing” espressamente attribuiti dalla legge allo stesso supremo organo di vigilanza”. Eppure i controlli erano iniziati addirittura undici anni fa, quando era ancora governatore Mario Draghi, che poi passerà al vertice della Bce, e subito gli Jacobini avrebbero risposto ai rilievi degli ispettori con una lunga serie di bugie, prendendo impegni mai mantenuti.
Bankitalia non solo non ha esercitato i poteri forti di cui è dotato l’organismo di vigilanza, ma sulla scorta delle promesse subito rivelatesi false, nel 2013, quando alla guida di Palazzo Koch c’era già Ignazio Visco, ha anche revocato le sanzioni inflitte alla Popolare due anni prima e dato il via libera all’operazione di fusione con il gruppo Tercas. “Nonostante – insistono gli inquirenti – tutte le ispezioni disposte nel suddetto arco temporale si chiudessero con un giudizio parzialmente sfavorevole”. Tentennamenti evidenti anche da quanto riferito agli inquirenti dai vertici della Banca d’Italia responsabili della vigilanza e interrogati. Quando Bankitalia ha deciso di muoversi non c’era ormai più nulla da salvare. Con buona pace dei piccoli risparmiatori che hanno visto andare in fumo quelle somme accumulate con una vita di sacrifici.
Soltanto il 13 dicembre scorso infatti Palazzo Koch ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Bari e ha sottoposto l’istituto di credito alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi degli articoli 70 e 98 del Testo Unico Bancario, in ragione delle perdite patrimoniali. Un provvedimento con cui sono stati anche nominati il dott. Enrico Ajello e il prof. Antonio Blandini commissari straordinari, mentre l’avvocato Livia Casale, il dott. Francesco Fioretto e l’avvocato Andrea Grosso sono stati nominati componenti del Comitato di sorveglianza. E non ha prodotto migliori risultati il controllo compiuto da Consob.