di Peppino Caldarola
Se questi fossero giorni normali il discorso di Letta ieri alle Camere sarebbe giusto accoglierlo con allarme e speranza. L’allarme sta nelle cifre che il premier ha dato quando ha ricordato all’Europa che la disoccupazione giovanile, in termini di reddito perduto e di maggiori oneri per assistenza sociale, costa la cifra di 153 miliardi di euro. La speranza è fondata sulla promessa non solo di un primo intervento nel Consiglio dei ministri di oggi – quasi interamente dedicato al rinvio dell’aumento dell’Iva – di circa 500 milioni destinati alla decontribuzione finalizzata all’assunzione di giovani nel Sud ma soprattutto sull’intenzione di mettere al centro – «Sarà un confronto duro» ha detto – del prossimo vertice di Bruxelles proprio il tema dell’occupazione giovanile, al quale sarà dedicato un prossimo Consiglio dei ministri e un decreto di maggior respiro. Letta ha cercato in questo modo di dare il carattere di necessità all’azione del suo governo, contemporaneamente agli ammonimenti di Napolitano, per cercare di spegnere l’incendio che la sentenza di Mi lano ha acceso nel sistema politico. In verità da settimane il nuovo premier indica nell’occupazione giovanile il banco di prova più difficile del suo esecutivo e anche il banco di prova dell’Europa. Letta non si nasconde, l’ha detto con chiarezza ieri, che un falli- mento europeo su questo enorme problema sociale sarebbe la tomba per il progetto unitario del Continente e conta di far sentire la voce dei paesi più in difficoltà contro le sottovalutazioni che emergono nei paesi che hanno i conti a posto. Il premier ha sostenuto anche che l’uscita dalla procedura di infrazione ha dato all’Italia una maggiore flessibilità e credibilità ma non ha nascosto come il tema dell’occupazione possa essere affrontato solo in una logica europea.
L’assenza di critiche vere all’impostazione del premier può significare due cose. La prima è della disoccupazione giovanile è centrale e quindi che l’allarme del presidente del Consiglio è fondato. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Letta ha ancora una volta indicato un tema, ha proposto soluzioni di là da venire, ha inserito le misure italiane solo nel contesto europeo.
C’è in questo modo di governare sicuramente il senso di responsabilità di un esperto uomo politi-co che sa di avere poche carte nelle proprie mani. Ma c’è anche la tendenza a non osare, a non rischiare prove di forza, a non mettere in campo idee innovative. E’ evidente che il tema del lavoro giovanile ha bisogno di misure di carattere fiscali a favore delle imprese, ma non si crea lavoro solo creando un clima più generale favorevole all’intrapresa. Il tema di oggi, rovesciando un antico mito della sinistra ma anche della destra, non è creare milioni di posti di lavoro incentivando il pubblico-sociale ma puntando a creare molte centinaia di migliaia di nuovi imprenditori.
Il futuro italiano passa da qui. Se non si crea un clima favorevole alla vocazione imprenditoria- le non c’è futuro per il lavoro né di giovani né di vecchi. Creare nuove centinaia di migliaia di imprenditori che creino lavoro richiede misure adeguate di carattere fiscale ma soprattutto un orientamento dell’economia che faccia capire la convenienza a investire, a creare impresa, a rischiare capitale umano e risorse finanziarie. Bisogna però sapere che cosa è e quale vocazione ha questo Paese. Un governo serve non per sostituirsi alle imprese ma per orientare l’economia indicando i settori su cui l’Italia punta e quelli che considera essenziali. Finora nessuno dei governi, e neppure il neonato governo Letta, lo ha fatto. Lo fecero i governi del dopoguerra e portarono l’Italia a diventare la settima potenza mondiale. Letta può presentarsi come una novità nella scena politica e forse sormontare (dubito personalmente che sarà possibile) la difficile fase attuale quanto più caratterizzerà la sua azione non con promesse e annunci ma con visioni e progetti. Molto ormai si ironizza attorno alla sua capacità di rinviare i problemi che si assommano lungo la sua strada. Però ieri parlando dei giovani ha avuto i toni giusti di chi conosce la violenza di una nuova emergenza. Ora si aspettano i fatti. Si aspettano parole grosse in Europa e misure sorprendenti in Italia.