di Vittorio Pezzuto
Poteva chiudere l’incidente in pochi secondi, annunciando le sue immediate dimissioni da ministro e acchiappando così per l’ennesima volta una sorprendente vittoria. E invece Josefa Idem ha preferito seguire la scia dei tantissimi che l’hanno preceduta in simili frangenti: dichiararsi sorpresa per gli addebiti che le venivano mossi (commessi infatti “a sua insaputa”) e spiegare quale grande sacrificio, per sé e la sua famiglia, sia lo svolgere il gravoso compito di ministro della Repubblica. Poteva uscire dal suo nuovo ufficio a testa alta, circondata dagli applausi del perdonismo italico che ne avrebbe subito esaltato il teutonico rigore. E invece si è intestardita in una grottesca rimonta fatta di pagaiate a vuoto («Non sono una commercialista, quindi non so pagare le tasse») e culminata in una conferenza stampa autolesionistica. Perché altro aggettivo non si merita chi si presenta a Palazzo Chigi accompagnato dal proprio avvocato e poi si sottrae alle domande dei cronisti, lasciando la sala dopo aver invocato a sua difesa il proprio prestigioso palmares.
Idem ha insomma scelto di resistere a oltranza, senza sapere che in politica il rovescio delle medaglie porta incise le parole “invidia”, “ipocrisia” e “tornaconto”. Da quel momento intorno a lei le acque giudiziarie hanno iniziato a intorbidirsi e la sua instabile canoa è stata costretta a procedere controcorrente, con le opposizioni che dalla riva decidevano di gettarle addosso critiche dure come pietre mentre non pochi sostenitori della maggioranza preferivano farle mancare il loro pubblico sostegno.
Le donne del centrosinistra hanno compattamente taciuto mentre quelle del centrodestra hanno rinunciato a ogni solidarietà di genere, accusando anzi il ministro delle Pari Opportunità di aver goduto di un trattamento non equanime. «Ci sono sempre due pesi e due misure» è insorta Daniela Santanché. «Si è dimostrata anche molto arrogante. Se capita una cosa del genere al centrosinistra, si fa finta di niente. Se fosse successo a una di noi saremmo già state cacciate». E anche Michaela Biancofiore, che da quel ministero è stata in tutta fretta trasferita a Palazzo Vidoni, ha preferito infierire sul suo ex ministro: «Il parallelismo non sta in piedi: sono stata sbeffeggiata e punita per una semplice dichiarazione personale, io che ho sempre pagato le tasse»).
La stessa furbizia di Zingaretti
Mal sopportata dalla componente romagnola del suo stesso partito, Idem paga per aver eluso il pagamento della tassa più odiata dagli italiani e per aver ricorso alla stessa furbizia già usata da Nicola Zingaretti: prima di diventare assessore del Comune di Ravenna si sarebbe fatta mettere in aspettativa dall’azienda di famiglia per scaricare sull’ente pubblico il versamento dei contributi Inps.
Dopo un colloquio di un’ora con il premier, ieri la campionessa ha capito che la sua corsa era finita, rassegnandosi alle dimissioni. Titolare di un dicastero irrilevante, il suo profilo politico si reggeva unicamente sull’immagine di sportiva di successo e sulle sue origini tedesche, che i nostri occhi provinciali accreditano a malincuore di quella disciplina che in Italia è merce scarsa e deperibile. Venuti a mancare questi galleggianti, la sua piroga ha iniziato a imbarcare acqua. Il governo Letta non poteva infatti permettersi falle sull’unico aspetto che sta coltivando con stolida ostinazione: quello dell’immagine.
È un esecutivo che non governa ma che si sforza di far credere il contrario ai cittadini: rinvia le decisioni su abolizione dell’Imu e su un probabile aumento dell’Iva illudendosi che i contribuenti si convincano a una ripresa dei consumi; annuncia il varo di un decreto dal nome evocativo (“Fare”) ma poi lascia che trascorrano più di due settimane prima che il suo testo venga redatto dai tecnici dell’Economia e quindi ‘bollinato’ dalla Ragioneria generale dello Stato (da noi i ministri contano molto meno degli inamovibili gran commis d’Etat); non batte i pugni sul tavolo della contrattazione europea, preferendo guadagnar tempo cianciando di futuribili piani contro la disoccupazione giovanile. Come i governi di democristianissima memoria, tira insomma a campare nell’attesa che succeda qualcosa (d’altronde il think tank che ha costruito le fortune politiche del suo premier non si chiama appunto “Vedrò”?).
La fragile Idem è stata quindi costretta a sacrificarsi nel giorno migliore per limitare al massimo i danni procurati alla sua fragilissima compagnia: quello della dura condanna in primo grado di Berlusconi al processo Ruby. La lettura dei giornali di oggi dimostrerà che, almeno in questo, Letta per una volta ha visto giusto.