Il testo di riforma elettorale che modifica il Rosatellum, a firma del presidente Cinque Stelle della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia (nella foto), è stato depositato ieri a Montecitorio. Obiettivo: incardinarlo in commissione già lunedì o al più tardi martedì della prossima settimana. Ovvero prima del pronunciamento della Corte costituzionale, il 15 gennaio, sull’ammissione del referendum elettorale della Lega che punta a un maggioritario secco a turno unico basato interamente sui collegi uninominali, come in Gran Bretagna.
In direzione opposta al testo depositato da Brescia e già ribattezzato come “Germanicum”, perché ispirato al modello tedesco. Anche se l’esponente pentastellato propone di chiamarlo Brescellum. Nomi a parte, cuore della riforma della legge elettorale del Conte II è l’impianto proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5% (oggi è al 3%), diritto di tribuna, abolizione dei collegi uninominali. Il diritto di tribuna è stato inserito per salvare le piccole formazioni politiche e prevede che, alla Camera, siano eletti i candidati di quelle formazioni che ottengono almeno tre quozienti in almeno due Regioni, mentre al Senato siano eletti i candidati che ottengono almeno un quoziente nella circoscrizione regionale.
Come in passato, per le minoranze linguistiche viene prevista una soglia di sbarramento che ne tutela l’elezione: sia alla Camera e al Senato potranno essere elette se raggiungono il 15% almeno in una regione. Se il Pd e il M5S manifestano tutta la loro soddisfazione per l’accordo raggiunto, mugugni si levano dalle parti di LeU e di Italia Viva. Nel mirino dei primi la soglia di sbarramento al 5%. I parlamentari di Sinistra italiana – da Nicola Fratoianni a Giuseppe De Cristofaro – denunciano che con una soglia così alta un partito che ottiene un milione di voti non avrebbe alcuna rappresentanza in Parlamento.
“Evidentemente per il Pd – dice Fratoianni – è meglio prendere un 3 o un 4% in più con il voto utile al proprio partito che vincere le elezioni”. Diversamente i bersaniani di Articolo 1 – da Federico Fornaro ad Alfredo D’Attorre – benedicono la scelta del sistema proporzionale e giudicano interessante il diritto di tribuna anche se aspettano di capire se possa essere un obiettivo raggiungibile dai soggetti più piccoli. Chi spariglia, ancora una volta le carte, è Italia viva. I renziani mostrano i muscoli: convinti di superare il 5% non si dicono affatto preoccupati della soglia nazionale stabilita. Quello che non va giù è il diritto di tribuna, “perché – come spiega il renziano Marco Di Maio – potrebbe rivelarsi uno strumento surrettizio per incentivare la nascita di micro-formazioni” con l’effetto di vanificare l’utilità della soglia.
Una impuntatura che si spiegherebbe con i timori del senatore fiorentino di essere insidiato al centro dalle sirene di soggetti come Carlo Calenda o Mara Carfagna. Protesta la Lega. Roberto Calderoli, padre del quesito referendario, sostiene che la maggioranza abbia partorito un “petellum”: “si sente subito il puzzo della prima Repubblica”. “Il Pd ha nostalgia della vecchia politica e dei ribaltoni”, accusa Matteo Salvini. Anche se l’opposizione non è poi così compatta (vedi Fratelli d’Italia e Forza Italia) al di là delle sviolinate leghiste sul maggioritario all’inglese.
Aboliti i collegi uninominali e liste di candidati più ampie. Ecco cosa c’è nella riforma
La Pdl Brescia abolisce i collegi uninominali e il sistema delle coalizioni. E cancella la norma che imponeva che il numero massimo di candidati fosse quattro, mentre sarà consentito presentare un numero di candidati pari a quello dei seggi assegnati nel collegio plurinominale. Inoltre delega il governo a riscrivere la mappa dei collegi plurinominali entro due mesi dall’entrata in vigore della legge. Considerando la possibile entrata in vigore della riforma del taglio dei parlamentari, con le prossime elezioni politiche i 400 seggi di Montecitorio verranno ripartiti in questo modo: 8 spetteranno ai deputati eletti all’estero, un seggio andrà all’eletto in Valle d’Aosta (in cui rimane il collegio uninominale), gli altri – 391 seggi – saranno assegnati proporzionalmente ai partiti che superano la soglia di sbarramento nazionale del 5%. Sempre con sistema proporzionale verranno ripartiti i seggi di Palazzo Madama: 195 con superamento del 5%, quattro ai senatori eletti all’estero e uno alla Val d’Aosta. Il testo non affronta la questione della lunghezza delle liste, la possibilità di prevedere listini corti e bloccati o di reintrodurre le preferenze. Tutti temi che, secondo quanto stabilito dall’accordo di maggioranza, saranno affrontati successivamente, durante l’iter parlamentare della riforma.