Per vedere qualcosa di simile, bisogna riavvolgere il nastro della storia agli anni bui che portarono al maxi processo di Palermo contro Cosa nostra. Trecentotrenta arresti, altre 4 misure cautelari e ben quattrocentosedici indagati, con i quali i magistrati della procura di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, hanno smantellato le cosche di ‘ndrangheta del Vibonese e assicurato alla giustizia, avvocati, agenti delle forze dell’ordine e tanti politici. A partire da Giancarlo Pittelli (nella foto), ex senatore di Forza Italia e passato nel 2017 a Fratelli d’Italia, ritenuto il punto di collegamento tra la cosca dei Mancuso di Limbadi e quei poteri con cui intendevano fare affari.
Altro nome di spicco è quello del sindaco di Pizzo Calabro nonché presidente regionale dell’Anci, Gianluca Callipo (omonimo ma non relazionato al candidato del centrosinistra per le regionali), che per questi fatti è finito in carcere proprio come l’ex senatore forzista. Ai domiciliari è finito l’ex consigliere regionale del Pd, Pietro Giamborino, come anche il segretario del Psi calabrese, Luigi Incarnato. Destino diverso, invece, quello toccato all’ex assessore regionale del Pd, Nicola Adamo, accusato di traffico di influenze che gli sono costate il divieto di dimora nella regione Calabria.
OPERAZIONE AL CARDIOPALMA. Un’operazione da record a cui hanno preso parte oltre ai 2500 uomini delle forze dell’ordine e che ha interessato ben dodici regioni (Calabria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata) e addirittura Germania e Svizzera. Un blitz che fa seguito ad una lunga indagine, durata quasi quattro anni, che però rischiava di saltare. Proprio per questo, come spiegato dal Procuratore Gratteri, l’operazione è stata anticipata di 24 ore perché “i boss sapevano che l’avevamo programmata”. Ma non è stato affatto facile riorganizzare questa sontuosa macchina perché 48 ore prima del blitz “dopo una riunione drammatica abbiamo sentito che i vertici della cosca sapevano. È stato il panico ma ce l’abbiamo fatta”. Proprio questo aspetto trova conferma nell’ordinanza di ieri in cui, tra gli indagati, figura anche la presunta talpa. Si tratterebbe di un maresciallo della Guardia di finanza, in seugito trasferito alla Presidenza del Consiglio, per il quale era stato chiesto l’arresto che, però, era stato negato dal giudice per le indagini preliminari.
RUOLI DETERMINANTI. Stando alle carte dell’inchiesta, Pittelli era “accreditato nei circuiti della massoneria più potente, è stato in grado di far relazionare la ‘ndrangheta con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università, con le istituzioni tutte, fungendo da passepartout del Mancuso, per il ruolo politico rivestito, per la sua fama professionale e di uomo stimato nelle relazioni sociali”. Ma il suo ruolo non era di semplice facilitatore perché, per i pm, l’ex uomo di FI aveva addirittura voce in capitolo negli affari in cui veniva coinvolto. Non meno importante la figura del dem Giamborino ritenuto “formalmente affiliato alla locale di Piscopio”. L’uomo, avrebbe intessuto legami con alcuni dei più importanti appartenenti alla ‘ndrangheta vibonese per garantirsi voti ed appoggi necessari alla sua politica. Ambizione, questa, che lo portava a diventare secondo l’accusa “uno stabile collegamento tra la politica e la cosca”.