Se l’Europa continua a fare orecchie da mercante sulla crisi libica, non si può dire altrettanto per l’Italia. Anzi con il viaggio di ieri del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, volato prima a Tripoli per incontrare il leader del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj, poi a Bengasi e Tobruk per parlare con il generale Khalifa Haftar e il presidente della Camera dei rappresentanti Aghila Saleh, il nostro Paese si è proposto come mediatore credibile per cercare una soluzione pacifica alla guerra civile nello Stato nordafricano. Una serie di summit che, a dispetto di quanto qualcuno voglia lasciar intendere, non sono stati affatto inconcludenti.
Al contrario sono stati “proficui e importanti”, come riferito dal ministro appena rientrato a Ciampino dopo la missione lampo in Libia, secondo cui: “Con Serraj ci sentiremo o stasera o domattina per aggiornarci sull’esito di tutta la missione. E con Haftar ci vedremo nelle prossime settimane a Roma, come ci siamo detti a Bengasi”. Ma c’è di più perché Di Maio, a dispetto di chi in perenne campagna elettorale aveva parlato di un viaggio flop, ha annunciato anche l’istituzione di “un inviato speciale per la Libia che risponderà direttamente alla Farnesina per poter avere un rapporto di alto livello politico continuo, intenso, con tutte le parti libiche”.
SITUAZIONE ESPLOSIVA. Del resto la situazione nel Paese è esplosiva, con bombardamenti continui che hanno lambito Tripoli anche ieri, ed è resa letteralmente incandescente dalle ingerenze di Turchia e Russia che, nell’assenza di un intervento europeo, stanno cercando di allungare le rispettive sfere d’influenza sul Mediterraneo. Se le forze di Vladimir Putin appoggiano da tempo quelle del Generale Haftar, è di questi giorni l’intesa, con tanto di firma su un memorandum, tra Al-Serraj e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Basterebbe questo per capire che nel Mediterraneo è in atto uno scontro di poteri ed è in questo scenario, incredibilmente capace di valicare perfino i confini del vecchio continente, che va inquadrata la missione del ministro degli Esteri.
Lo sa bene Di Maio che ha spiegato come: “l’Italia ha perso terreno, non possiamo negarlo, ma è il momento in cui deve riprendersi il ruolo naturale di principale interlocutore, da sempre amico del popolo libico”. Una centralità perduta soprattutto a seguito dell’intervento militare del 2011 quando venne deposto l’allora dittatore Muammar Gheddafi, da sempre in buoni rapporti con l’Italia, per volontà dell’allora Governo francese. Una mossa con cui, senza girarci intorno, i nostri cugini miravano ad allungare la loro ombra su Tripoli ma che, a conti fatti, si è trasformata in un disastro perché ha frammentato il Paese facendolo precipitare in una crisi senza fine da cui se ne può uscire, secondo Di Maio, solo con un accordo di pace.