di Valeria Di Corrado
Diventate la bandiera degli enti inutili e dello spreco di risorse pubbliche, le comunità montane italiane stentano a scomparire definitivamente. Ci sono regioni che sembra non riescano proprio a farne a meno, regioni che le hanno soppresse e poi ci hanno ripensato, reintroducendole, e altre ancora che per liquidarle ci mettono anni. Se questo è il banco di prove per l’abolizione delle province, il futuro non lascia ben sperare. In una sorta di flashforward è possibile immaginare cosa accadrà, ad esempio in Sicilia, dove da qualche giorno si è completata la squadra dei commissari straordinari che dovrà smantellare le nove province dell’isola.
La normativa
Istituite con legge del 3 dicembre 1971, ora disciplinate dal Testo unico sugli enti locali del 18 agosto 2000, sono unioni di comuni montani e pedemontani, anche appartenenti a province diverse, il cui scopo è la valorizzazione delle zone montane. Hanno un organo rappresentativo e uno esecutivo composti da sindaci, assessori o consiglieri dei comuni partecipanti. La costituzione delle comunità avviene con provvedimento del presidente della giunta regionale, mentre la loro disciplina è regolata dalla legge regionale. In Sicilia sono state abolite nel 1986 e le loro funzioni sono passate in capo alle province, che ora (dopo la legge Crocetta) le rimpalleranno ai liberi consorzi di comuni. In Friuli-Venezia Giulia sono state soppresse nel 2001 e reintrodotte tre anni dopo. La Lombardia nel 2009 ha fatto una cura dimagrante riducendole da 30 a 23. Le 25 comunità sarde sono state cancellate dalla Regione il 20 marzo 2007 (salvo poi ripescarne una nel 2009), ma a distanza di sei anni il processo di liquidazione non è ancora terminato. Il Molise, dopo averne proposto una riduzione, le ha cancellate tutte e dieci nel 2011. Il presidente della giunta regionale molisana ha dato ha fissato al 31 dicembre 2013 il termine ultimo per attuarne lo smantellamento. Il tempo stringe, ma tuttora non è stato deciso cosa ne sarà del personale. Quindi, realisticamente, si andrà oltre la scadenza e (forse per risparmiare) si passerà dagli attuali 10 commissari liquidatori a un commissario unico. Una situazione analoga si sta verificando in Puglia dove le comunità montane erano state soppresse l’8 gennaio 2009 con un decreto del governatore Nichi Vendola, ma la Corte Costituzionale pochi mesi dopo ha dichiarato parzialmente illegittimo tale atto. In alcuni casi i commissari liquidatori stanno procedendo allo smantellamento degli enti territoriali, in altri gli organi politici restano ancora oggi in piedi. In Liguria, invece, le comunità sono state ridotte da 19 a 12 nel 2009 e in seguito soppresse dal primo maggio 2011. “Il mio mandato scade il 30 aprile dell’anno prossimo – spiega Gino Bedini, commissario liquidatore di sette di queste comunità liguri – Ma non penso di riuscire a concludere le procedure entro quella data. Si tratta di enti complessi, con un patrimonio complesso da dismettere attraverso aste e perizie. A cui si sommano contenziosi e mutui. Mi auguro comunque che la razionalizzazione si estenda anche ad altri organi dello Stato e non riguardi solo le comunità montane, enti più deboli dal punto di vista istituzionale”.
Tentativi inutili
Il tentativo di soppressione introdotto con la Finanziaria 2008 è stato bocciato dalla Corte Costituzionale, che ha affidato la competenza in materia alle Regioni. Il Governo Monti ha fatto la mossa di riprovarci, ma se l’è cavata dando un colpo al cerchio e uno alla botte: il decreto sulla spending review ha sancito infatti che le comunità montane potranno continuare a sopravvivere trasformandosi in Unioni di comuni, addirittura con maggiori poteri rispetto a quelli attuali. Chissà se questo sarà anche il “lieto fine” della storia infinta sull’abolizione delle province italiane.