di Lapo Mazzei
Il giorno dopo il D-day della Consulta, che consegna Silvio Berlusconi a un destino sempre più simile a quello di un condannato in attesa del boia (che potrebbe essere il Parlamento e non un tribunale), le reazioni vanno lette in modo bilaterale. Perché c’è un Berlusconi condannato visto da destra e un Berlusconi imputato visto da sinistra. Dettagli per qualcuno, ma estremamente sostanziali. Come non lo sono mai stati. A vederla con le lenti bagnate del centrodestra, colme di lacrime e rabbia, la sentenza equivale ad una dichiarazione di guerra. I retroscenisti di Palazzo Grazioli narrano di un vertice notturno contrassegnato da urla e incitazioni alla rivolta da parte dei falchi, con il chiaro obiettivo di far saltare il governo. Il Cavaliere, forte della lezione di San Filippo Neri, ha esortato tutti a stare buoni, se potete. Già se possono, perché la situazione si è fatta particolarmente calda. Non a caso Michaela Biancofiore, l’amazzone delle amazzoni del Pdl, dopo aver rivadito che mercoledì «è venuto meno il principio cardine della democrazia, ovvero la leale collaborazione tra poteri», ha annunciato che farà «ricorso personale, se il Presidente mi darà il via libera, alla Corte dei diritti e di giustizia europea affinché possa avere un giusto processo». Ecco, appunto se Silvio dirà di sì. Che non è un dettaglio da poco. La Biancofiore, considerata la pasionaria dell’ex presidente del Consiglio, attuale sottosegretario del governo Letta per la Pubblica Amministrazione, non è certo una a cui manca il coraggio. Il deputato azzurro, infatti, sostiene che «non è pensabile che i magistrati vengano nominati dalla politica, soprattutto quelli delle alte cariche, o che ci sia una magistratura rappresentata da correnti politiche». In ogni caso questo non inciderà sul governo da parte del Pdl, ma «Letta non può dormire sonni tranquilli, e non per il centrodestra: è evidente che nell’alveo del centrosinistra, che già due mesi fa era convinto di aver vinto le elezioni, c’è un fuoco amico ». Su questo particolare la Biancofiore non ha affatto torto. Ma il problema del D-Day visto da destra è che i ministri sono in mezzo al guado mentre Berlusconi non vuole andare al voto ora, convinto di poter capitalizzare a proprio vantaggio tutte le decisioni che l’esecutivo riuscirà a portare a casa. E la scelta di rinviare o meno l’aumento dell’Iva rischia di essere la madre di tutte le battaglie. Se il governo in carica riuscirà a trovare le risorse per centrare l’obiettivo, Berlusconi potrà sempre intestarsi la vittoria, mettendo legna in cantina per la prossima campagna elettorale, offrendosi agli elettori come lo stimolatore cardiaco del governo, che soffre di una forte aritimia. «C’è qualcosa nelle parole di Enrico Letta che non mi convince», dice il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. «Entro certi limiti capisco la sua necessaria prudenza e la sua felpata capacità di dissimulare, ma ci sono questioni storiche, politiche e umane, su cui non si può democristianamente glissare». Parole sagge, don Bondi, ma non sufficientemente forti per i falchi di Palazzo Grazioli. «La sorte, ad esempio, di un leader politico come Berlusconi, vittima da decenni di una barbara attenzione giudiziaria, grazie al quale l’attuale governo si è costituito così come quello precedente di Monti; la questione della sua presunta ineleggibilità, così come altre questioni dirimenti non solo per il futuro del governo ma per il futuro dell’Italia, richiederebbero giudizi politici intellettualmente onesti e coraggiosi anche da parte del presidente del Consiglio». Con tutta probabilità, non arriveranno mai. L’ammissione di Fabrizio Barca Perché se provi a leggere da sinistra la sentenza della Consulta, dove si usano lenti bifocali, ti accorgi che le difficoltà sono superiori ai vantaggi. «Che si possa far cadere il Governo in ragione di una vicenda che attiene alla sfera giudiziaria mi sembra onestamente qualcosa che contraddica l’idea stessa per cui è nato questo governo » dice il segretario del Pd Guglielmo Epifani in una lunga quanto inutile premessa prima di arrivare al punto. «Perché se il governo è al servizio dei cittadini, al servizio dei cittadini deve restare, con una sentenza o con un’altra sentenza, mi pare abbastanza evidente». Pochi, forse, ricordano come Fausto Bertinotti fece cadere il governo Prodi: nel modo peggiore e con un vero e proprio atto di alto tradimento. In una intervista del 7 aprile 2008, prima delle elezioni politiche, Romano Prodi attribuì la caduta del governo a «chi ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili». Parole si riferivano Bertinotti. Ecco, Berlusconi non vuol fare lo stesso errore, sapendo che se si va a votare ora è l’ora di Renzi. Matteo Renzi da Firenze, l’italiano medio, furbo e scaltro, che piace tanto all’italiano medio, cornuto e mazziato. E allora non resta che fare di necessità virtù, provando a governare. Anche perché né il Pdl né il Pd sono attrezzati per il voto. Soprattutto il partito guidato da Epifani dato che all’interno «non c’è conflitto ma zizzania, è come fosse un condominio dove ci si odia», come ha sottolineato Fabrizio Barca, ex Ministro della Coesione. E se lo dice uno che si èoccupato di quella materia vuol dire che sono un pezzo avanti. Altro che Renzi…