L’unica cosa assolutamente certa nella battaglia sul Mes, il meccanismo europeo di stabilità, è che l’indecorosa rissa di mercoledì scorso alla Camera può solo accrescere la soddisfazione per il taglio dei nostri parlamentari. A meno di sorprese ancora possibili, nella prossima legislatura – quando arriverà – il ring di certi spettacoli sarà perlomeno più ridotto. Per le altre baruffe invece non restano che i tribunali, dove il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si appresta a trascinare il segretario della Lega Matteo Salvini, a meno che quest’ultimo non fugga come ha già fatto nella vicenda della nave Diciotti. Motivo della querela per calunnia sono le accuse di alto tradimento che il sedicente capitano leghista ha mosso contro il capo del Governo (e l’ex ministro Giovanni Tria) per aver firmato il trattato europeo ignorando le indicazioni del Parlamento.
Detta così, non c’è dubbio che Conte sia nei guai, anche se per come il Centrodestra descrive questo Mes sarebbe più opportuno rinchiudere il premier e tutti gli altri negoziatori italiani in manicomio. Gli esimi economisti del Carroccio, tutt’altro che fessi e molto spesso con argomenti incontrovertibili rispetto alle porcate che ci hanno fatto in Europa, da giorni ci spiegano che con questo accordo il nostro Paese butterà una montagna di miliardi per andare in caso di una nuova crisi finanziaria tranquillamente in default. In realtà però siamo di fronte all’ennesima balla elettorale.
Una balla esattamente come quella che ci raccontano del Governo Conte2 che aprr i porti mai chiusi da Salvini ministro del Conte1, oppure della nuova Manovra fatta solo di tasse. Miscelando furbescamente menzogna e verità, il partito del Papeete riesce comunque ad apparire credibile, e a far scattare un’inevitabile indignazione verso chi non è stato attento su ciò che si firmava o, peggio, si è venduto agli interessi di Paesi stranieri. Una frittata perfettamente rovesciata, insomma, visto che ad essere stati poco attenti, o assenti, sono stati invece i numerosi ministri della Lega nel lungo periodo di contrattazione con l’Europa, svegliandosi solo qualche settimana prima dello show down nell’ex maggioranza gialloverde.
LA POSTA IN GIOCO. Ma allora come stanno veramente le cose e cosa c’è in ballo sul serio in questa delicata partita? Il meccanismo di stabilità è essenzialmente un Fondo che già esiste da anni e che i Paesi dell’Eurozona sono tutti concordi nel voler rafforzare. Il suo scopo è di fornire uno scudo nel caso di nuove tempeste finanziarie come quelle già viste all’epoca del nostro spread volato sopra i 500 punti o nel 2014 con il fallimento di fatto della Grecia. Se la Banca centrale europea può affrontare queste crisi con il bazooka utilizzato da Draghi, e cioè comprando debito pubblico e immettendo liquidità monetaria nel sistema finanziario, gli Stati con questo Fondo possono garantire la solvibilità del Paese o dei Paesi sotto attacco speculativo.
Ovviamente per far questo servono le munizioni adeguate, e tutti i Paesi concorrono per questo alla dotazione del Mes, con cifre proporzionali e che per l’Italia possono arrivare a un massimo di 125 miliardi, 14,3 dei quali già consegnati. Chi ha impostato l’architettura di questo sistema ha giocato però sporco, e nel testo originario c’erano molte clausole vessatorie e oggettivamente pericolose per l’Italia, che per il debito di 2,4mila miliardi è teoricamente uno degli Stati più esposto a una eventuale crisi dei mercati. Parte di queste clausole sono state rimosse durante il negoziato, e parte no, a cominciare dall’impostazione tecnica e non politica che ha la governance del Fondo. Si prevede, in sostanza, che a decidere come usare il Mes sia un burocrate, alla fine dei giochi libero di usare a suo piacimento i soldi nostri.
Su questo e altri aspetti tecnici che per sinteticità dobbiamo saltare – ma dal punto di vista della sovranità nazionale il tema della governace ci basta e avanza – non solo la Lega ma pure i 5 Stelle avevano impegnato il Governo a procedere con la massima cautela, come è stato fatto tenendo in equilibrio le garanzie sul Fondo richieste dal Parlamento e la necessità di non bloccare una riforma che serve anche a noi e che in caso di veto solo italiano sarebbe diventata la prova di quanti sostengono che siamo i più preoccupati di tutti sul debito, e non aspettano altro per scagliarci contro una nuova tempesta finanziaria. Senza scomodare i più raffinati economisti, Salvini e Borghi – cioè chi proponeva i mini Bot per pagare i debiti dello Stato ai fornitori, agitando solo con questo i mercati – non possono non sapere che in economia c’è solo un valore che un Paese non può perdere, e si chiama fiducia. Quella che certi avventurieri si stanno giocando per l’Italia.