Certe volte il destino è davvero beffardo. Questo almeno è quanto deve aver pensato l’ex governatore Giancarlo Galan che, proprio mentre Venezia viene martoriata dalle ondate di alta marea, suo malgrado torna prepotentemente alla ribalta della giustizia italiana. Con un tempismo sorprendente, infatti, la locale Corte dei Conti ha chiuso il procedimento nei confronti dell’allora presidente forzista del Veneto, condannandolo a risarcire la Regione con 764mila euro perché ritenuto responsabile di aver dirottato al Patriarcato fondi della Legge Speciale per Venezia che, invece, erano destinati a interventi di disinquinamento e salvaguardia della Laguna. Una cifra importante che, in realtà, sarebbe stata anche più ampia se non fosse intervenuta la prescrizione per una gran parte dei denari distratti.
LO SCANDALO. Stando a quanto ricostruito dai giudici contabili, durante il regno di Galan si sarebbe consumata l’ennesima violenza alla città di Venezia. Sostanzialmente la Regione, nel 2004, aveva revocato i maxi finanziamenti da ben 26 milioni di euro che erano stati destinati ad importanti e urgenti interventi sulla Laguna. Uno stop che veniva confermato anche nel 2005 quando la giunta, come si legge nell’atto della Corte dei Conti, aveva “deliberato di confermare la revoca di quei finanziamenti e di devolvere detta somma, per 24 milioni alla Diocesi Patriarcato di Venezia per finanziare il completamento dei lavori di restauro della Sede patriarcale, del Seminario patriarcale e della Basilica della Salute, e per 2 milioni di euro alla Comunità ebraica, per i lavori di restauro dell’edificio adibito all’assistenza degli anziani”.
Una vicenda che spingeva i magistrati contabili ad analizzare la faccenda e, al netto della prescrizione, muovere alcune contestazioni all’allora governatore e al fedelissimo assessore alla Mobilità Renato Chisso. Per la precisione nel mirino dei giudici finiva l’importante tesoretto di 1 milione e 200mila euro di cui il 60 per cento veniva contestato a Galan e il resto all’assessore. Fatti per i quali al forzista è stata imposta la restituzione di 764mila euro da parte della Corte dei Conti mentre l’amico se l’è cavata perché, secondo la ricostruzione dei giudici, a proporre quei finanziamenti fu il governatore e lui si limitò semplicemente a votare le delibere. Tutte ragioni per le quali, come si legge nell’atto, la condotta dell’ex Doge viene definita “gravissima ed inescusabile”, per aver “proposto alla Giunta l’adozione di una deliberazione, in violazione di norme di legge” e per essere poi intervenuto anche presso la Presidenza del consiglio per ottenere una specie di autorizzazione.
INTERVENTI NON DOVUTI. In questa vicenda, come succede in molte altre simili, quel che dispiace è sapere che fondi pubblici destinati per importanti operazioni, vengano destinati per tutt’altro. Così col senno di poi si capisce che quei 26 milioni che dovevano servire per il disinquinamento e la salvaguardia della Laguna, sarebbero serviti eccome. Invece per volere di Galan, “24 milioni venivano girati alla Diocesi del Patriarcato di Venezia che li usò per finanziare il completamento dei lavori di restauro della Sede patriarcale, del Seminario patriarcale e della Basilica della Salute mentre ulteriori 2 milioni di euro finivano nelle tasche della Comunità ebraica per lavori di restauro dell’edificio adibito all’assistenza degli anziani”. Denari per i quali la Regione Veneto, i cui assetti politici erano nel frattempo mutati, nell’ormai lontano 2016, chiedeva conto al Patriarcato con una richiesta di restituzione milionaria.