Piaccia o non piaccia, il bello del Movimento cinque stelle è che, in un’ottica di trasparenza, basta un voto per capire quanto la linea dettata dall’alto venga accolta a livello locale. E questa volta la volontà di Luigi Di Maio non ha trovato riscontro. Il voto di ieri su Rousseau parla chiaro: gli attivisti vogliono andare al voto sia in Emilia Romagna che in Calabria, al contrario di quanto avrebbe voluto il vertice pentastellato. A poco serve oggi chi dice che, in realtà, la decisione di rivolgersi a Rousseau era soltanto per far decidere ai singoli attivisti. Per due ragioni: mai prima d’ora ci si era rivolti preventivamente per decidere se o no andare al voto.
E in secondo luogo già l’impostazione della domanda lasciava presagire una chiara volontà: “Vuoi che M5S osservi una pausa elettorale fino a marzo per preparare gli Stati Generali evitando di partecipare alle elezioni di gennaio in Emilia-Romagna e Calabria?”. Il risultato parla per tutti: “Sono state espresse 27.273 preferenze su un totale di 125.018 aventi diritto al voto”, chiarisce il blog. Con un dato più che schiacciante: 8.025 attivisti (29,4%) avrebbero voluto fermarsi per un giro; 19.248 (70,6%) vogliono invece misurarsi col voto regionale. E bene, allora, ha fatto Di Maio a precisare che, visto questo mandato forte, ora i 5S correranno da soli. Senza alleanze.
MALUMORI CRESCENTI. La questione politica che adesso si apre, però, è tutt’altro che secondaria. E, a quanto pare, in difficoltà non è solo il Movimento tout-court come detto ieri da Di Maio, ma è lo stesso Di Maio ora a dover affrontare una piccola tempesta interna. Il motivo sta nel fatto che quasi nessuno degli eletti emiliani e calabresi ha digerito una decisione – quella di chiamare gli attivisti al voto – non concordata e calata dall’alto, quando ormai le decisioni su eventuali candidati alla presidenza erano già stati prese. Il caso più eclatante è proprio quello calabrese. Secondo quanto risulta a La Notizia, infatti, pochi giorni fa le delegazione al completo dei parlamentari si erano presentati da Di Maio (ad eccezione di Nicola Morra) e tutti, compatti, avevano spiegato l’esigenza di andare al voto per cambiare la mala-gestio prima del Centrodestra e ora del Pd.
E, anzi, sarebbe stato pure concordato il candidato M5S alla presidenza (si vocifera Francesco Aiello) su cui ci sarebbe stata convergenza non solo dei calabresi ma anche dello stesso Di Maio. Da qui lo sconcerto totale davanti al post. Chiarisce il malcontento la nota di Paolo Parentela, designato proprio da Di Maio per organizzare le regionali calabresi: “Non capiamo né condividiamo la decisione di indire questo voto su Rousseau”. Tanto che Parentela alla fine si è dimesso dal suo incarico, per poi ritirarle in serata davanti ai risultati di Rousseau. Piccato anche il commento di Anna Laura Orrico, unica calabrese nelle file del Governo: “Voterò su Rousseau, per riaffermare il mio sacrosanto diritto da cittadina e calabrese di lottare fino in fondo per liberare dalle catene la mia regione”.
Stesso andazzo anche in Emilia Romagna, dove tanti attivisti ma anche parlamentari (come Stefania Ascari e Maria Laura Mantovani). Adesso Di Maio dovrà dare delle spiegazioni: sono gli stessi eletti (e non solo quelli calabresi e romagnoli) che lo chiedono. Anche per sconfessare la voce secondo cui il leader M5s l’avrebbe fatto solo per favorire l’ex alleato di Governo, Matteo Salvini. Solo voci, certo. Ma che adesso dovrebbero essere gelate sul nascere.