di Peppino Caldarola
Comunardo Niccolai, bravissimo ex-calciatore del Cagliari passato alla storia per la involontaria propensione agli autogol, potrebbe entrare nel Pantheon del Pd. Dopo aver sprecato l’occasione delle scorse elezioni politiche, il Pd sta buttando a mare una combinazione di fattori positivi: dirige il governo con un suo esponente giovane e di primo piano, assiste allo sfaldamento del grillismo di cui aveva temuto l’espansione inarrestabile, è posto di fronte alle difficoltà di un Berlusconi arrivato al ”redde rationem” con la questione giudiziaria.
In altre parti del mondo, un partito, così favorito dagli eventi, nessuno dei quali dovuti a proprio merito, si darebbe una calmata e si spingerebbe in territori nemici per conquistare bottini e fare prigionieri. No, il Pd ha altro da fare. Ancora una volta è consumato da una lotta intestina paradossale e per tanti aspetti ridicola che ruota attorno a un nome, Matteo Renzi. Il paradosso sta nel fatto che Renzi è visibilmente il leader che può portare il Pd alla vittoria elettorale. Chi non lo ama non comprende come ciò possa accadere, ma il fatto incontestabile è che cresce il numero di persone che ha fiducia in lui.
Il ridicolo sta nel fatto che per ostacolarlo si stanno lambiccarlo il cervello, soprattutto quei genialoni dei bersaniani che della corrente Niccolai hanno la guida, per trovare l’escamotage regolamentare per fermare il sindaco di Firenze. Nel sottobosco politico del Pd questa ennesima lotta fratricida viene presentata come uno scontro sulla natura del partito. Il Pd è un partito veramente democratico ma alcune sue componenti guardano alle altre componenti interne come sentina di tutti i vizi politici e come avamposto avversario. C’è qualcosa di più profondo oltre l’ostilità rancorosa dei bersaniani? C’è indubbiamente la stessa contrapposizione che ha accompagnato sia il dibattito pre-Pd sia quello successivo alla sua nascita. Se cioè il Pd sia un partito di sinistra ancorchè camuffato e se deve organizzarsi secondi i criteri del partito pesante ovvero scegliendo la linea plebiscitario-carismatica che fa perno sul modello organizzativo liquido.
C’è anche una diversa visione istituzionale. Chi va dietro alle tesi di Renzi, che è megafono delle suggestioni lanciate da Veltroni, pensa al bipartitismo e al presidenzialismo, mentre gli altri guardano al centro-sinistra col trattino, alla pluralità dei soggetti politici, al parlamentarismo vecchio stampo. In questa diatriba un ruolo singolare sta svolgendo Massimo D’Alema. L’ex premier ha provato che la rottamazione in politica non vuol dire niente e ha ripreso, con Veltroni, il centro della scena. Il suo progetto probabilmente vedrebbe Gianni Cuperlo, intellettuale e politico della sinistra, alla guida del partito e Renzi come candidato premier del Pd. Renzi non ha sciolto la riserva su ciò che vuole fare anche se le sue condizioni per correre alle primarie del Pd sono nette e indiscutibili: non vuole nuove regole congressuali e vuole un congresso entro il 7 novembre. Se non ci sarà l’accordo con D’Alema, o se l’incontro con D’Alema non sarà utile nè all’ex premier né al sindaco di Firenze, Gianni Cuperlo potrebbe diventare la candidatura di bandiera che può parlare all’anima di sinistra del partito.
C’è in questo gioco la variabile Epifani. L’attuale segretario smentisce di voler continuare nel suo lavoro ma le sue smentite in queste vicende valgono poco. Per lui si muoverebbero i bersaniani e quanti credono che il congresso sia un appuntamento da evitare in un contesto politico così confuso. C’è poi Enrico Letta che ha addosso una bomba a orologeria il cui innesco è nelle mani di Berlusconi , ma anche del Pd. Letta vuole durare almeno fino al semestre europeo che sarà guidato dall’Italia.
Questa data contraddice la fretta di Renzi e deve fare i conti con i guai di un quadro politico così pieno di mine e di incognite. Letta ha però un’arma totale: chiunque lo farà cadere dovrà spiegare all’elettorato il fallimento e potrebbe essere accusato di aver rimesso in sella Grillo. Tutto ciò è ben chiaro al presidente della repubblica che guarda alle traversie del mondo politico con il sospetto di trovarsi di fronte alla stessa situazione degli ultimi mesi del governo Monti. Nel discorso di insediamento per il secondo settennato Napolitano “disse” cose dure. I partiti rischiano che ora “faccia” cose dure. Ci avviciniamo così al paradosso più paradossale di tutti: viviamo in un sistema politico in cui nessuno vuole vincere davvero. Grillo ha avuto paura del successo, Berlusconi teme le ritorsioni, e il Pd, come dice Renzi, sbaglia tutti i calci di rigore a porta vuota. Ecco perchè nel Pantheon ci può stare il povero Niccolai.