Giustizia lumaca è un dramma. Tanto per gli imputati quanto per le vittime. Lo sostiene pure Maria Elisabetta Alberti Casellati, che è intervenuta ieri con una lectio magistralis sul tema “il sistema delle garanzie nel quadro dei principi costituzionali”, al Dipartimento di scienze giuridiche e alla Scuola di specializzazione in studi sull’amministrazione pubblica di Bologna. Una metamorfosi notevole quella della presidente del Senato, preoccupata per le lungaggini dei processi dopo anni trascorsi accanto a Silvio Berlusconi, difendendolo a spada tratta nelle vicissitudini giudiziarie in cui è incappato e da cui spesso si è salvato proprio per processi andati avanti troppo a lungo.
Meno di due anni da seconda carica dello Stato sembrano insomma aver fatto abbandonare alla Casellati l’abito a lutto indossato quando il Cav venne messo alla porta al Senato, per l’unica condanna definitiva incassata, per rispolverarlo davanti a Tribunali e Corti d’Appello che non funzionano. A Bologna la presidente del Senato ha sostenuto che i dati sulla durata dei processi sono “allarmanti”. Una situazione che nuoce agli imputati e “soprattutto alle aspettative e ai diritti delle parti offese”. Parti offese che ha definito “vittime del reato tanto quanto di un sistema giudiziario incapace di dare una risposta rapida alla loro legittima domanda di giustizia”.
E non è neppure la prima volta che, dopo essere stata messa al timone di Palazzo Madama, affronta tale tema, visto che lo scorso anno, durante il dibattito sulla prescrizione, ha insistito specificando che “il vero problema è ridurre i tempi del processo”. Una sensibilità che non si è notata nel ventennio berlusconiano di cui la Casellati è stata una delle protagoniste. Fondatrice di Forza Italia, vicinissima all’avvocato di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, considerata tra le azzurre una delle più berlusconiane, l’attuale presidente e Dama di Gran Croce dell’Ordine di San Giorgio ha sempre difeso a spada tratta il leader di FI, dall’avallo della tesi di Ruby nipote di Mubarak alle leggi ad personam proprio sulla prescrizione e il legittimo impedimento.
Tanto fedele che il giorno in cui venne dichiarata la decadenza di B. si vestì di nero definendo l’accaduto un “lutto per la democrazia”. Lo stesso B. che per otto volte, dal Lodo Mondadori ad All Iberian, dalla corruzione di Mills a quella del senatore De Gregorio, se l’è cavata nelle aule di tribunale proprio grazie alle lungaggini che hanno fatto scattare per lui la prescrizione. All’epoca non sembrava preoccupata di mettere il turbo ai processi. Non sembrava curarsene neppure quando è stata sottosegretario al Ministero della giustizia durante il Berlusconi IV.
E anche ora, quando dalla teoria si passa alla pratica, il tema non sembra una priorità per la Casellati, tanto che è stata sollecitata dal gip di Lecce, Giovanni Gallo, a pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere per il senatore leghista Roberto Marti, coinvolto in indagini su cui incombe proprio la prescrizione. Un parlamentare finito in un’inchiesta sull’assegnazione delle case popolari e sospettato di aver favorito i boss. Dopo aver a lungo atteso una decisione da Roma, il giudice per le indagini preliminari si è rivolto alla presidente sottolineando il rischio che il trascorrere del tempo impedisca di fare vera giustizia. All’apparenza dunque un avvocato del popolo solo quando c’è una lectio magistralis.