Doveva essere un anno bellissimo, come aveva promesso il premier Giuseppe Conte. Ma da Luigi Di Maio sarà ricordato come il più nero nella storia del Movimento Cinque Stelle. Prima il governo gialloverde affossato da Matteo Salvini a colpi di mojito dal Papeete. Poi il nuovo Esecutivo giallorosso con il Pd annacquato di rosa dalla scissione dei renziani. E in mezzo una serie di test elettorali, dalle Europee alle Regionali, che per i Cinque Stelle si sono rivelati un vero e proprio bagno di sangue.
TEMPI DURI. Mala tempora currunt, come del resto hanno certificato anche le assemblee parlamentari dei grillini che, come se non bastasse, hanno messo in trasparenza anche le difficoltà personali del leader M5S. A cominciare da quella tenuta a Montecitorio, dove, alla presenza dello stesso Di Maio, c’è chi ha riproposto il nodo del doppio ruolo di capo politico e di ministro invitandolo a scegliere tra l’uno e l’altro. Richiesta respinta al mittente dal leader M5S, obiettando, che è proprio la leadership del Movimento ad accrescere il suo peso politico in seno al Consiglio dei ministri.
Contro- obiezione: e allora Nicola Zingaretti e Matteo Renzi che guidano Pd e Italia Viva senza sedere nel Governo? Poi il resto del menù. Dall’Ilva e le tensioni sull’immunità penale alle Regionali, sulle quali il ministro degli Esteri ha invitato tutti ad abbassare le aspettative. Dopo il deludente risultato in Umbria, dove la scelta del Movimento di portare avanti le proprie battaglie non ha pagato, resta da definire la linea in Emilia: partecipare al voto rischiando di agevolare la vittoria del Centrodestra o chiamarsi fuori per fare un favore al Pd?
DISSENSO CRESCENTE. Decisione rinviata ad un direttivo ad hoc. E i famosi facilitatori di cui si parla ormai dall’indomani della batosta elettorale alle Europee ma dei quali non c’è ancora traccia. Una performance, quella del capo politico M5S a Montecitorio, letta da più di un pentastellato come una sorta di passo di lato, ma non indietro. Piuttosto una reazione al crescente dissenso interno che, alla Camera, si è tradotto addirittura in una clamorosa impasse nell’elezione del nuovo capogruppo: da settimane il Movimento non riesce a nominare il successore di Francesco D’Uva.
Ulteriore sintomo di una spaccatura tra pro e contro Di Maio anche all’interno del Parlamento. Senza contare il caos delle restituzioni mancate (o ritardate) da parte di molti parlamentari M5S che potrebbe finire sul tavolo dei probiviri. è andata addirittura peggio al Senato, dove il dissenso rispetto alla linea del leader politico è stata addirittura formalizzata in un documento in cui i senatori hanno messo, nero su bianco, la posizione sull’Ilva: stop allo scudo penale in assenza di novità; accelerare sulla decarbonizzazione; velocizzare l’attuazione del piano ambientale; svincolare il nodo dell’immunità dalle sorti del Governo. Ma il mandato a rappresentare il gruppo è stato conferito al ministro Stefano Patuanelli anziché a Di Maio. Una dichiarazione di sfiducia? Di certo un ceffone al capo.