Mentre da un lato rinunciava all’immunità parlamentare, dall’altro Lara Comi pensava a come uscire dai suoi guai giudiziari. Peccato che sembra proprio non esserci riuscita, infatti è finita agli arresti domiciliari nella cosiddetta tangentopoli in Lombardia. Stessa sorte toccata anche all’imprenditore Paolo Orrigoni, titolare della catena di supermercati Tigros ed ex candidato leghista a sindaco di Varese, mentre è andata peggio a Giuseppe Zingale, ex direttore dell’Agenzia per il lavoro Afol, per il quale si sono spalancate le porte del carcere. Le accuse mosse nei loro confronti dai pubblici ministeri Silvia Bonardi, Luigi Furno e Adriano Scudieri sono, a seconda delle posizioni, quelle di corruzione, finanziamento illecito e truffa ai danni del Parlamento europeo.
Insomma continua ad imperversare l’inchiesta che ha travolto Forza Italia e che, contrariamente a quanto si potesse immaginare, non sembra affatto destinata a sgonfiarsi nonostante lo scorso 30 settembre erano state chiuse le indagini nei confronti di ben 71 persone tra politici e imprenditori. Tre gli episodi contestati alla ex rappresentante azzurra in Europa. Due riguardano alcune consulenze sospette mentre il terzo risulta un inedito in quest’indagine. Quest’ultimo fa riferimento alla retrocessione di parte dello stipendio di un suo ex addetto stampa a Strasburgo a cui era stato garantito un aumento di stipendio, da mille a tremila euro. Tutto denaro rimborsato dal Parlamento europeo che, secondo i pm, per due terzi anziché finire nelle tasche del giornalista andavano in quelle della Comi.
L’INTERCETTAZIONE CHOC. Carte alla mano, sembra proprio che sia stata la stessa Comi a darsi la zappa sui piedi. Finita sotto indagine e non sapendo di essere già sotto intercettazioni, conversando con l’amica Maria Teresa Bergamaschi si confidava a cuore aperto. “Comunque oggi dirò che non ho mai preso 17k (17mila euro, secondo i militari), non ho mai avuto consulenze con Afol né di società a me collegate che non esistono…”. Poi all’amica consigliava di utilizzare “Telegram che è più comodo” e di “non rispondere né al telefono, né agli sms se provengono da numeri sconosciuti, poi ti spiego”. Si tratta di un passaggio chiave perché, secondo i pm, la Comi temeva che qualcuno l’avrebbe potuta intercettare e stava cercando un modo per eludere le eventuali indagini.
GIUDIZIO IMPIETOSO. Tutte ragioni che hanno spinto il gip di Milano, Raffaella Mascarino, ad acconsentire alla richiesta di arresto per l’ex eurodeputata che era stata formulata dai pm meneghini. Insomma non ci sarebbe nulla di eccezionale se non fosse che nell’atto, firmato dal giudice, c’è un ritratto tutt’altro che generoso della personalità dell’arrestata. Già perché nell’atto si legge che “nonostante la giovane età, Lara Comi ha mostrato una non comune esperienza nel far ricorso ai diversi collaudati schemi criminosi volti a fornire una parvenza legale al pagamento di tangenti, alla sottrazione fraudolenta di risorse pubbliche, all’incameramento di finanziamenti illeciti”.
Preoccupa la “refrattarietà dimostrata dalla Comi in merito al rispetto delle regole”. Inoltre la Comi potrebbe ripetere le condotte che le vengono contestate “in una pluralità di scenari che non presuppongono necessariamente l’attuale copertura di una pubblica funzione”. L’indagata, inoltre, ha dimostrato una “peculiare abilità” nello “sfruttare al meglio la sua rete di conoscenze al fine di trarre dal munus publicum di cui era investita per espressione della volontà popolare il massimo vantaggio in termini economici e di ampliamento della propria sfera di visibilità”.