Venezia è sott’acqua mentre il Mose resta spento a fare la ruggine. È il paradosso dell’opera ambiziosa che avrebbe dovuto mettere al riparo dalla furia delle acque la città lagunare e la cui realizzazione è iniziata nel 2003, quando a capo del governo nazionale c’era Silvio Berlusconi, ma che, nonostante il susseguirsi di differenti amministrazioni comunali e regionali, resta tutt’ora un’eterna incompiuta. Già perché il gigantesco sistema di dighe, detto Modulo Sperimentale Elettromeccanico (Mose), è stato pensato addirittura negli anni ’80, doveva essere terminato già nel 2016 ma, per problemi di progettazione, scandali e inchieste, ha visto slittare i tempi in modo esponenziale tanto che ora il nuovo termine è previsto per il 2021. Dati alla mano, infatti, l’opera è pronta all’incirca all’85%. Così per capire le ragioni del disastro che sta sconvolgendo Venezia, non si può che partire dalle indagini della magistratura e quindi dalle conseguenti responsabilità della politica.
NEL MIRINO DEI PM. L’esecuzione dei lavori, ben 16 anni fa, era stata affidata al Consorzio Venezia Nuova che altro non è che una concessionaria del ministero delle Infrastrutture. La società, con fortune alterne, andava avanti fino al 2014 quando sul gigantesco impianto, i cui costi lievitavano sempre più e in modo a dir poco incomprensibile, si abbatteva uno tsunami giudiziario che portava all’arresto di 35 persone, tra politici di primo piano e funzionari pubblici, e all’iscrizione nel registro degli indagati di altri 100 individui. Pesantissime le contestazioni che i magistrati veneti contestavano agli indagati che, a seconda delle posizioni, erano accusati di corruzioni e false fatturazioni.
Tra i tanti, a farne le spese furono soprattutto il presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, sostenuto da Forza Italia e Lega Nord, e l’allora ministro dell’ambiente e delle infrastrutture Altero Matteoli. Per l’allora Governatore, la faccenda si chiuse con un patteggiamento a 2 anni e 10 mesi perché accusato di corruzione continuata mentre non andò altrettanto bene all’ex ministro forzista che, per quella vicenda, subì una condanna a quattro anni. Nei guai finirono anche esponenti del centrosinistra con in prima fila l’allora sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che a luglio 2019 ha visto terminare la propria vicenda giudiziaria con l’avvenuta prescrizione. Può sembrare incredibile ma questa non è l’unica inchiesta che si è abbattuta sulla gigantesca opera. Nel 2018 nuove indagini, avviate per riciclaggio internazionale ed esercizio abusivo dell’attività finanziarie, puntavano nuovamente il dito nei confronti dell’ex governatore Galan il quale, secondo i pm, aveva speso le tangenti del Mose in appartamenti di lusso a Dubai e per l’acquisto di fabbricati industriali in Veneto.
RESPONSABILITà POLITICHE. In questo triste scenario non sorprende vedere Venezia affogare. Eppure negli ultimi anni più che dell’emergenza – cronica – delle maree e del Mose, si è parlato delle grandi navi che scorrazzano a pochi metri da Piazza San Marco. Uno scandalo anche questo che però non si capisce come possa aver catalizzato tutta l’attenzione a dispetto del ben più grave problema delle maree. In tal senso fa storcere la bocca il silenzio della politica che solo a disastro compiuto si ricorda dei mali della laguna, ovviamente dimenticando le proprie responsabilità che, secondo i pm, sono state rigorosamente bipartisan. E non può che far sorridere sentire Matteo Salvini dire che in questa vicenda “la Lega non c’entra niente“ e che “il Mose è fondamentale e conto che la manovra esca con 100 milioni di euro per mettere in esercizio un’opera piuttosto che tenerla ferma”.
Risulta incomprensibile questo tentativo di lavarsene le mani visto che al governo della Regione, dal 2000 al 2010 c’era il forzista Galan supportato dall’allora Lega Nord mentre dal 2015 a oggi c’è Luca Zaia. Insomma appare complicato dire che il Carroccio in tutta questa storia sia stato un semplice spettatore. Come non regge neanche la questione dei fondi da stanziare di cui, ieri, il Capitano si è fatto promotore, annunciando un apposito emendamento, perché fino a prova contraria per 14 mesi è stato vicepremier e ministro dell’Interno del governo gialloverde. Insomma di tempo e modo per agire ne aveva avuto a sufficienza. La realtà è che nel disastro di Venezia la vecchia politica ha nuovamente dimostrato tutti i propri limiti.