Sulla crisi di Taranto un appello corale alla responsabilità di tutte le forze politiche, a quelle di maggioranza come a quelle di opposizione. Ma soprattutto un richiamo al senso di responsabilità di ArcelorMittal. Il mittente è il premier Giuseppe Conte che parla alla fine di una lunga giornata dopo un vertice con l’azienda e un Consiglio dei ministri sul tema. Sull’ex Ilva “è scattato un allarme rosso, nessuna responsabilità sulla decisione dell’azienda può essere attribuita al governo. Siamo disponibili a tenere aperta una finestra negoziale 24 ore su 24”, dice Conte.
REPRIMENDA. Perché per “il governo rilanciare l’Ilva e Taranto è una priorità”. I legali di ArcelorMittal lo hanno scritto nell’atto di citazione depositato al Tribunale civile di Milano e il premier lo conferma: “Lo scudo penale non è la vera causa del disimpegno dell’azienda”. Al punto che il governo “per sgombrare il campo da qualsiasi pseudo-giustificazione ha dichiarato la propria disponibilità per quel che riguarda l’immunità”. E Conte qui stoppa le voci di divisioni all’interno della maggioranza sul ripristino della protezione legale: “Il governo marcerà compatto, ma io chiedo di più, che il Paese marci compatto”.
Ma la proposta dello scudo – dice il premier – è stata rifiutata dall’azienda. Il problema è industriale: “Mittal ritiene che gli attuali livelli di produzione non riescono a remunerare gli investimenti. E ci chiede 5.000 esuberi: per noi è un dramma sociale inaccettabile”. Oggi stesso verranno convocati i sindacati. Il premier alza la voce: “Qui non è una qualsiasi crisi aziendale, è una vertenza che prospetta un disimpegno da impegni contrattuali assunti da una gara, e questo è inaccettabile. Le criticità non giustificano” la scelta di ArcelorMittal. L’Italia “non si lascia prendere in giro”.
Il governo nel faccia a faccia con l’azienda schiera, oltre al premier, i ministri impegnati nella partita e che rappresentano tutte le anime della maggioranza: Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) e Nunzia Catalfo (Lavoro) per il M5S, Roberto Gualtieri (Economia) e Giuseppe Provenzano (Sud) per il Pd, Roberto Speranza (Salute) per LeU, Teresa Bellanova (Agricoltura) per Italia viva e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mario Turco.
BRACCIO DI FERRO. ArcelorMittal scende in campo con il patron Lakshmi Mittal e il figlio Aditya Mittal. L’azienda cala le sue carte e detta le sue condizioni per rimanere a Taranto. Sul tavolo non c’è solo il ripristino dello scudo penale. Lo stop all’altoforno 2 che si prevede per almeno un anno e il blocco che di conseguenza si applicherebbe ad altri forni gemelli minaccia l’attività. L’azienda vuole riscrivere il contratto abbassando i livelli produttivi e quelli occupazionali.
Prima del vertice il colosso franco-indiano ha comunicato formalmente ai sindacati e alle aziende collegate la riconsegna all’Amministrazione straordinaria degli stabilimenti e dei dipendenti (10.777 unità) ai sensi dell’articolo 47 della legge 428 del 1990. La decisione coinvolge gli stabilimenti di tutta Italia: Taranto, Genova, Novi Ligure, Milano, Racconigi, Paderno Dugnano, Legnano e Marghera. A Taranto la temperatura dei forni viene ridotta e la Fim-Cisl dichiara uno sciopero immediato di 24 ore a partire dalle 15 del pomeriggio.
APPELLO ALL’UNITA’. In serata si aggiungono anche le altre sigle sindacali. Fiom e Uilm annunciano uno sciopero per l’8 novembre. Ma la partita è del tutto aperta. “Abbiamo invitato ArcelorMittal a prendersi un paio di giorni e farci una proposta per assicurare continuità livelli occupazionali, produttivi e ambientali”, ha concluso Conte. Se ci fossero rigidità, aggiunge, valuteremo strade alternative . Il governo – è il suo ultimo appello – chiamerà “a raccolta l’intero Paese”.