Qualcosa come duemila ricorsi si sono riversati nelle aule degli organi giurisdizionali interni di Camera e Senato. Una valanga di carte bollate firmate dai legali degli ex parlamentari che di vedersi tagliare il vitalizio proprio non vogliono saperne. E così hanno impugnato le delibere approvate dagli Uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama che, dal 1° gennaio di quest’anno, per effetto del ricalcolo contributivo con efficacia retroattiva di tutti i trattamenti pensionistici, ha considerevolmente alleggerito gli assegni erogati spettanti ad ex deputati e senatori o ai loro eredi.
Una sforbiciata che, bilanci di previsione 2019 alla mano, taglia i trattamenti previdenziali a carico della Camera di 45,6 milioni di euro e quelli pagati dal Senato di altri 22,2 milioni. In tutto 67,8 milioni all’anno (339 milioni a legislatura). Esattamente la somma accantonata in entrambi i rami del Parlamento in attesa che si definiscano tutti i ricorsi presentati che puntano a riavere l’intero ammontare dei vitalizi, prima della decurtazione imposta dai provvedimenti targati M5S.
Per ora la decisione sui 771 ricorsi in carico alla Commissione contenziosa del Senato (presieduta da Giacomo Caliendo) è saltata, dopo le dimissioni della senatrice-giudice M5S, Elvira Evangelista, a seguito delle notizie sul conflitto di interessi relative ad alcuni componenti della Commissione stessa pubblicate da La Notizia. Ma la decisione è solo rimandata.