Non sarà certo il ritorno dello scudo penale a convincere ArcelorMittal a non lasciare Taranto. A dircelo è la stessa azienda: “Anche se la protezione legale fosse reintrodotta con un atto normativo, la situazione di assoluta incertezza fattuale e giuridica nonché i conseguenti problemi causati dalle descritte vicende hanno così irrimediabilmente ed eccessivamente modificato il rapporto contrattuale da giustificarne, comunque, lo scioglimento”. Il passaggio è contenuto nell’atto di citazione del colosso franco-indiano all’Ilva in amministrazione straordinaria, depositato al tribunale di Milano e pubblicato dal sito del Corriere del Giorno.
BIDONE INDIANO. Quell’atto che il ministro dello Sviluppo economico, il pentastellato Stefano Patuanelli (nella foto), cita “a dimostrazione che da settimane, forse da mesi, l’azienda preparava l’abbandono dell’area”. Tra le motivazioni che hanno convinto la multinazionale ad abbandonare l’ex Ilva al suo destino c’è anche la possibilità che, per un provvedimento dell’autorità giudiziaria di Taranto, venga di nuovo spento l’altoforno 2 e in tal caso dovrebbero essere spenti anche gli altiforni 1 e 4 per motivi precauzionali mettendo seriamente a repentaglio l’attività. Alla vigilia dell’incontro con il governo a Palazzo Chigi dunque ArcelorMittal gela i bollenti spiriti che tra gli alleati si sono accesi sulla questione “scudo o non scudo”.
Tutti d’accordo nel sostenere che lo scudo sia stato utilizzato come scusa dal gruppo per andar via. Ma non tutti completamente d’accordo nel chiederne il ripristino. Il Pd e Italia viva, ma anche i sindacati e gli industriali, per il ritorno della protezione legale per sfilare all’azienda qualsiasi alibi. Il M5S ondeggiante tra quanti sullo scudo hanno una posizione più morbida e quanti invece difendono la scelta presa di stralciarlo. Il premier Giuseppe Conte assicura che nell’incontro di oggi con l’azienda “saremo inflessibili” nell’invocare il rispetto degli impegni presi e si dice fiducioso. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, cita il whatever it takes di Mario Draghi: “Penso che un Paese serio debba fare tutto il possibile e necessario per evitare quello che sarebbe un esito negativo e drammatico”.
Duro il resoconto che della vicenda fa Patuanelli: non permetteremo ad ArcelorMittal di ricattare lo Stato italiano mettendo sul piatto oltre 5 mila esuberi. Il ministro dice no ad “alcuna norma ad personam” per l’azienda ma apre alla possibilità di inserire “una norma di rango primario” che espliciti un principio già presente nel nostro ordinamento. Ovvero l’articolo 51 del codice penale che già prevede che “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”. E ancora: non esiste alcuna clausola di recesso legata al cosiddetto scudo penale. Esiste una clausola di recesso in caso cambi il piano ambientale, cosa mai avvenuta.
Pure Matteo Renzi pare deporre le armi: “Quando Conte dice che Mittal deve onorare il contratto, noi stiamo con il premier”. Il senatore fiorentino nega di essere il regista di una cordata alternativa ad ArcelorMittal che veda assieme il gruppo indiano Jindal e Cdp. Ma ammette: “Se salta l’impegno di Mittal, ci va il secondo arrivato” nella gara che ci fu a suo tempo, ovvero Jindal. Conte taglia corto: “I nostri interlocutori sono quelli che ci sono adesso e devono rispettare gli impegni contrattuali”. I sindacati vedono nero sulla possibilità che il gruppo faccia un passo indietro rispetto alla decisione presa di andar via. E forse vedono giusto.