La mossa del colosso siderurgico ArcelorMittal era attesa, ampiamente ventilata da settimane, ma ieri è arrivata ugualmente come una “bomba” quando la società ha annunciato l’intenzione di ritirarsi dall’Ilva. Un dietrofront motivato dalla decisione del nostro Parlamento di non recepire quel salvacondotto penale promesso a suo tempo dal Governo di cui faceva parte Carlo Calenda, autore di un contratto in parte persino secretato. Cosa sarà adesso del campione italiano della siderurgia non è chiaro, anche perché è scoppiato il finimondo politico e dopo un primo vertice ieri a Palazzo Chigi domani mattina è previsto un incontro tra il premier Giuseppe Conte e la proprietà indiana.
PATUANELLI NON MOLLA. Proprio Conte è passato però subito al contrattacco, mettendo in campo una duplice strategia: una battaglia senza esclusione di colpi a Arcelor Mittal e, parallelamente, la ricerca di una via alternativa per salvare lo stabilimento. “Il problema è che l’azienda vuole andarsene perché perde 2,5 milioni di euro al giorno. Vuole almeno 5mila esuberi”, hanno fatto sapere fonti del Governo vicine al dossier a tarda sera, inquadrando quello che, a loro parere, è il reale pomo della discordia: “ArclorMittal non ce la fa a mantenere la produzione richiesta e, approfittando di un quadro politico incerto ha preso l’assenza dello scudo penale come alibi per andar via”.
Un ragionamento che oggi Conte e il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli recapiteranno all’azienda nell’incontro del pomeriggio. Sarà così l’inizio di una partita a scacchi che, qualcuno, nel Governo, paragona a quella appena (parzialmente) conclusasi con la Whirlpool su Napoli. Da un punto di vista strettamente giuridico il governo potrebbe sventolare ai vertici dell’azienda quell’articolo 51 del codice penale secondo il quale “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”.
Di fatto, secondo il Governo, l’articolo esclude che ArcelorMittal sia punibile nel momento in cui attua, come da contratto, il piano ambientale previsto fino al 2023. Il tema, si ragiona nella maggioranza, per ArcelorMittal è duplice: da un lato l’azienda non può sostenere il livello occupazionale concordato, dall’altro si pretende la bonifica necessaria di uno dei due forni o i finanziamenti necessari per realizzarla. Allo stesso tempo, nel governo si cerca di correre ai ripari. E torna anche l’idea di una nazionalizzazione.