Della lotta all’evasione il premier ha fatto una battaglia personale. Suo il piano cashless che contrasta l’uso del contante tramite incentivi e sanzioni. Ma all’evasione anche i 5 Stelle hanno dichiarato guerra. I grillini – Luigi Di Maio ha riunito tutti i ministri M5S – partono dalla considerazione che l’ossatura del sistema produttivo italiano è data dalle piccole e medie imprese, dal popolo delle partite Iva, professionisti, artigiani. E che la lotta all’evasione si fa colpendo i grandi evasori, “i pesci grossi”, tramite l’inasprimento delle pene a loro carico. Come spiega un tagliente post sul Blog delle Stelle. Che chiede un vertice di maggioranza, rinvia al Parlamento le decisioni finali e avverte: “Senza il nostro voto non si va da nessuna parte”.
I NODI. L’abbassamento del tetto all’utilizzo del contante (da 3.000 a 2.000 nei primi due anni e poi a 1.000) e le multe per quanti non permettano di utilizzare i Pos, secondo i pentastellati, sono un “segnale culturale devastante”. Non solo non consentono di recuperare risorse ma penalizzano i piccoli. Al limite sono possibili ma solo se “si azzerano le commissioni sulle transazioni elettroniche”. Sul punto arriva la rassicurazione di Giuseppe Conte: “Andremo ad azzerare o ridurre sensibilmente le commissioni”. Ma il premier non molla sul punto: “Portare la soglia del contante da 3.000 a 2.000 euro non mi sembra criminalizzare qualcuno”. A protestare contro l’abbassamento del tetto al contante è anche Italia Viva: fu proprio il governo Renzi nel 2015 ad innalzarlo.
Ma sull’altro aspetto che sta a cuore ai 5S, ovvero la stretta sul carcere per i grandi evasori, prevista solo per chi si macchia di dichiarazione fraudolenta, l’ex rottamatore non sta con i grillini. Fu sempre il governo del senatore fiorentino ad abbassare le soglie di punibilità per l’evasione, che i grillini ora intendono alzare. Ma anche il Pd su questo prende tempo, auspicando che l’argomento venga affrontato in altra sede. Il guardasigilli Alfonso Bonafede confida di chiudere nel giro di 1-2 giorni. Ma non è tutto. Capitolo partite Iva: la manovra non solo abolisce la flat tax tra 65mila e 100mila euro ma, anche entro i 65mila, prevede correttivi che annacquano i benefici accordati dal governo precedente.
I grillini protestano. Conte fa muro: “Un’aliquota fiscale del 15% per i redditi delle partite Iva fino a 65mila euro è già molto bassa. Abbassarla ancora ci farebbe entrare nella logica opposta di iniquità sociale”. Certo, ammette, “ci sono dettagli che possiamo verificare”. Ed è su quei dettagli che si è accumulato il malumore M5S. Intanto i renziani non mollano su Quota 100 e annunciano emendamenti per cancellarla. Ma da Bruxelles Conte li stoppa: “Quota 100 è un pilastro della manovra”. Iv si scaglia anche contro le microtasse, dalla sugar tax all’incremento della cedolare secca e dell’imposta di registro. Insomma se renziani e M5S affilano le armi e si preparano a fare le barricate sulla manovra, Pd e Leu la difendono.
Sebbene il viceministro dem dell’Economia Antonio Misiani contempli modifiche: “Tutto si può discutere e tutto si può migliorare”. Come pure il premier: “Abbiamo approvato salvo intese, c’è la possibilità di fare ulteriori verifiche, non mi sottrarrò”, assicura. “Un ultimatum al giorno toglie il governo di torno”, polemizza Dario Franceschini, capo delegazione dem al governo. “Nessun ultimatum. Conte ha tutta la nostra fiducia”, replicano i 5S. “L’impianto della manovra non cambia, i contrasti in un governo di coalizione sono fisiologici”, getta acqua sul fuoco il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.