Sono bastate meno di 24 ore a Luigi Di Maio: solo due giorni fa il ministro degli Esteri annunciava al Governo in un’informativa urgente sui fatti siriani che il Governo avrebbe bloccato le future autorizzazioni all’esportazione di armamenti verso la Turchia e ieri è arrivato ufficialmente il tanto atteso decreto: il Governo di Recep Tayyip Erdogan e il suo esercito non riceveranno, dunque, alcun placet a prossime commesse militari avanzate ad aziende italiane. La Farnesina ha deciso che adesso può bastare così. Un primo, concreto passo, dunque, è stato fatto. Anche se ora, come sottolinea la Rete Italiana per il Disarmo, manca il secondo (e forse anche più importante): lo stop alle consegne già autorizzate e che, dunque, se non ci dovesse essere altro blocco, arriveranno in territorio turco e, verosimilmente, saranno utilizzate in Siria.
L’INCONTRO ALLA CASA BIANCA. Ma oggi a parlare di Siria è stato anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, alla Camera in vista del Consiglio europeo che si terrà oggi e domani e durante il quale, ovviamente, il tema turco-siriano avrà un posto di rilievo. E il premier ha ribadito la necessità di una moratoria sulla vendita delle armi: “L’Italia è stata da subito orientata anche unilateralmente a una moratoria sulla vendita di armi alla Turchia. Il Governo italiano ha dato subito corso a una sospensione della vendita delle armi alla Turchia”. Ma sulla questione siriana e l’offensiva turca è intervenuto anche il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, incontrando alla Casa Bianca il capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Trump ha sottolineato che “la Turchia è un membro della Nato. Dovremmo andare d’accordo con un membro della Nato”. Insomma, un atteggiamento decismaente morbido rispetto, ad esempio, a quello tenuto dallo stesso capo dello Stato italiano, il quale ha detto chiaramente che l’unica soluzione è il ritiro delle truppe turche. Lo stesso Trump, però, pur avendo specificato che a suo dire comunque i curdi “non sono angeli”, ha chiarito che da parte sua non è arrivato alcun “disco verde” all’operazione di Ankara, come pure qualcuno aveva sospettato.
IL GIORNO DECISIVO. Gli scontri – e i morti – intanto continuano. E proseguono con Erdogan che ieri mattina ha chiarito come la Turchia non sia disposta ad alcun passo indietro: Ankara, ha detto, “non dichiarerà mai il cessate il fuoco” nel Nord-Est della Siria, confermato l’intenzione di proseguire con l’offensiva contro i curdi. Di fronte ai membri del suo partito, l’Akp, Erdogan ha poi chiarito la sua posizione: “Subito, stasera, che tutti i terroristi depongano le armi e gli equipaggiamenti, distruggano tutte le loro fortificazioni e si ritirino dalla zona di sicurezza che abbiamo fissato”. Questo sarebbe “il modo più veloce di risolvere il problema in Siria”. Il presidente turco ha poi risposto alle critiche: “Nella sua storia la Turchia non ha mai compiuto massacri di civili.
Se volete vedere civili perseguitati, guardate in Afghanistan, Myanmar, Bosnia”. Affermazioni forti, che giungono mentre il vice presidente americano Mike Pence si appresta a partire per la Turchia assieme al segretario di Stato Mike Pompeo e al Consigliere per la sicurezza nazionale Mike O’Brien, con l’obiettivo di cercare di ottenere un cessate il fuoco. L’atteso incontro tra il presidente turco Erdogan e il vicepresidente americano Mike Pence avverrà oggi. La partita, adesso, si gioca su più tavoli. E mentre la gente muore è a livello diplomatico che si chiarirà il futuro dei territori sotto assedio.