di Gaetano Pedullà
Non fossimo un Paese al rovescio non vedremmo mai comitati di cittadini che acquistano pagine sui giornali per scongiurare l’allontanamento dello Stato e la chiusura di modernissimi tribunali. Ma siamo il Paese che siamo e allora ci tocca vedere anche questo. L’ineffabile mossa dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino per tagliare qualche molecola della gigantesca spesa pubblica fu accorpare alcune sedi giudiziarie. In un’Italia dove ci vogliono anche dieci anni per una sentenza, dove in grandi aree del Paese nemmeno ci si rivolge più agli avvocati ma ci si fa più sbrigativamente giustizia da se – e dove quindi servirebbe più giustizia, più tribunali, più certezze nella legge – si affronta il problema dei costi con la stessa miopia di un’Europa ragionieristica, attenta al rigore e non allo sviluppo. Modello che stiamo vedendo quanto funziona. E dire che uno Stato onnipresente in economia, invasivo nei rapporti umani, assurdamente regolatore di ogni cosa, dovrebbe invece liberare i suoi cittadini assicurandosi di far bene solo poche cose: difendere i confini e la sicurezza, consentire a tutti l’accesso a cultura e istruzione, garantire la salute, amministrare la giustizia. Tutto il resto, invece, andrebbe cancellato, a partire dalle centinaia di aziende nazionali e municipali, dai finanziamenti a tutti i generi di sagre della porchetta, dalle regalie (in cambio voti ai partiti) a corporazioni, sindacati, gruppi di pressione, ecc. ecc.
In un Paese fatto così non fa quasi notizia constatare che moltissimi magistrati fanno tutto tranne che il lavoro per il quale sono lautamente da noi tutti pagati. Arbitrati, mansioni fuori ruolo per oltre dieci anni, Incarichi extragiudiziali profumatamente ricompensati da associazioni di imprese che poi colleghi dell’ufficio accanto dovranno giudicare, sono la normalità. Nel silenzio generale. Mentre lo Stato taglia i tribunali. E persino Napolitano ha da ridire che a qualcuno non va giù questa vergogna.