Indagini, contro indagini e soffiate. È la spy story che collega direttamente Washington e Roma per via degli incontri top secret tra William Barr, il procuratore generale degli Stati Uniti, e i servizi segreti italiani, e che da giorni occupa le prime pagine dei giornali. Una grana caduta sulle spalle del premier Giuseppe Conte che quegli incontri li aveva autorizzati e che ora dovrà spiegarne motivi e natura davanti al Copasir. E dovrà farlo davanti all’organo la cui presidenza, rimasta vacante per un mese, salvo inattesi colpi di scena, andrà al leghista Raffaele Volpi (leggi l’articolo).
Un appuntamento che sa di resa dei conti, con gli ex alleati del Carroccio ben contenti di mettere alla gogna il rivale, che però potrebbe preannunciare colpi di scena. Già perché il Capo dello Stato, tirato in ballo in questa vicenda dal leader di Italia Viva, Matteo Renzi, e da quello della Lega, Matteo Salvini, in queste ore ha spiegato che quando sarà convocato per spiegare gli incontri ai Servizi Segreti con il procuratore americano, non esiterà a farlo. Una frase che sembra essere una stoccata al leader del Carroccio che quando fu chiamato a riferire sulla trattativa al Metropol, ha sempre ignorato gli inviti.
Nei contenuti di quanto il premier intende riferire, invece, si cela la seconda sciabolata, questa volta indirizzata all’altro Matteo. Secondo il Capo del governo, come anticipato nei giorni scorsi, gli incontri sarebbero avvenuti per ragioni di “sicurezza nazionale” per “chiarire quali fossero le informazioni degli Stati Uniti sull’operato dei nostri Servizi all’epoca dei governi precedenti” tra cui ci sarebbe proprio quello targato Renzi e quello di Paolo Gentiloni.
Del resto Barr è l’uomo del presidente Donald Trump che sta conducendo una contro inchiesta sul caso Russiagate, quello sollevato dai democratici in relazione alle intromissioni russe nelle elezioni che hanno portato al trionfo del tycoon, e che è iniziata dalle dichiarazioni del consigliere americano George Papadopoulos. Quest’ultimo, infatti, aveva raccontato una spy story, ancora tutta da dimostrare, secondo cui alcuni agenti della Cia avrebbero agito in accordo con l’intelligence di diversi paesi stranieri, Italia inclusa, per sabotare la candidatura di Trump.