Non c’è un’emergenza immigrazione, dice il premier Giuseppe Conte da New York dove, come il suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio, è impegnato nei lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Eppure sulle politiche migratorie l’esecutivo giallorosso si gioca una delle partite più importanti per sgonfiare la propaganda salviniana. Ecco allora che tanto il premier quanto il numero uno della Farnesina si muovono su due livelli. Da una parte l’obiettivo è smontare la tesi del leader della Lega che accusa il nuovo governo di aver spalancato nuovamente i porti. Dall’altra il fine è portare a casa risultati che Matteo Salvini in 14 mesi alla guida del Viminale poteva solo immaginare.
PARTITA DOPPIA. E così il giorno dopo lo storico accordo di Malta, in cui l’Italia è riuscita a far passare il principio di una vera redistribuzione in Europa di tutti i richiedenti asilo (migranti economici compresi), anche a New York negli incontri con i capi di Stato, a latere dei lavori, Conte e Di Maio non dimenticano l’urgenza del dossier migranti. Che la politica salviniana dei porti chiusi alle Ong avesse mascherato i numeri veri del fenomeno migratorio, l’aveva denunciato a fine giugno, in pieno caso Sea Watch, il sindaco di Lampedusa Totò Martello. “Ci sono due tipi di sbarchi: quelli fantasma di cui nessuno parla e quelli delle ong su cui si scatena il finimondo. Tutti parlano di 43 persone ferme su una nave senza vedere che nei giorni scorsi sono arrivate 200 persone”.
Si tratta di quei disperati che autonomamente su barche e barchini, difficilmente intercettabili, non hanno mai smesso di approdare nelle nostre coste. L’ex ministro dell’Interno Marco Minniti definisce i porti chiusi di Salvini “una drammatica propaganda che serviva a coprire il fatto che negli ultimi 14 mesi sono cresciuti a dismisura gli arrivi illegali nel nostro Paese, gestiti direttamente dagli scafisti”. Conte lo dice chiaramente: “Non è vero che i flussi si sono alterati. Le Ong hanno polarizzato il dibattito pubblico ma nel frattempo c’erano dei barchini che venivano in particolare dalla Tunisia. C’era un flusso più contenuto di migranti proveniente – sempre senza l’intervento delle Ong – dai Balcani, c’erano anche migranti che quotidianamente superavano il confine friulano”.
Lo conferma Di Maio: “Le imbarcazioni di migranti per la maggioranza erano, sotto il governo precedente, e sono barchini non grandi imbarcazioni. Con la differenza che oggi vengono redistribuiti”. E assesta una stoccata velenosa all’ex alleato: “Sui ricollocamenti e sui rimpatri faremo più di lui e forse non ci voleva molto”. E qui veniamo al secondo binario su cui sta correndo il governo. Il premier avverte: guai se l’accordo di redistribuzione siglato a Malta avesse l’effetto finale di sedurre i migranti, incentivandoli a partire. Di Maio ribadisce: “La soluzione del problema migratorio non è unicamente quella di distribuirli in tutti i paesi europei, altrimenti ne partono di più”. La leva su cui bisogna agire, insiste il leader dei pentastellati, sono accordi di rimpatrio. E su quest’ultimo fronte il governo sta lavorando alacremente a tutti i livelli diplomatici. Conte annuncia a breve una “svolta risolutiva sui rimpatri”.
Di Maio parla di risultati visibili “nelle prossime settimane”. Molti di questi migranti, che scelgono soluzioni spot per la traversata, arrivano dalla Tunisia e dall’Algeria. Strategico diventa negoziare con questi paesi. Nella Grande Mela il titolare della Farnesina ha avuto colloqui sia con il suo omologo algerino sia con quello tunisino. Anche in quest’ottica si può leggere l’appoggio di Di Maio alla richiesta di Algeria e Tunisia di sedersi al tavolo per la Libia che si terrà a Berlino il mese prossimo.