Quasi un altro 8 per cento perso nella sola seduta di ieri. Atlantia, la holding controllata dai Benetton che ha in pancia Autostrade per l’Italia, adesso ha un problema anche sul fronte del valore bruciato in Borsa, e dopo avergli perdonato di tutto non è detto che l’amministratore delegato Giovanni Castellucci riesca a farla franca ancora una volta. Oggi è fissato un Cda straordinario ed è probabile che avvenga quello che doveva avvenire a ferragosto di un anno fa, un minuto dopo la caduta del ponte di Genova. Invece i manager a monte della società concessionaria dello Stato non solo sono rimasti al loro posto, ma hanno difeso con le unghie e con i denti la gallina dalle uova d’oro regalata a suo tempo da Governi molto generosi ai signori dei caselli di Ponzano Veneto.
Una storia che grida e griderà per sempre vendetta, perché si è data la gestione delle autostrade costruite con i soldi degli italiani a dei privati che hanno fatto una fortuna grazie ai pedaggi imposti in modo sconsiderato agli stessi italiani che avevano già pagato il conto, tanto che solo nel 2017 i concessionari hanno registrato utili per 5,9 miliardi. La gestione, si dirà, ha un costo, e questo è vero. Esattamente come è vero che lo Stato non sa fare l’imprenditore, e dunque per evitare che poi la politica si infiltri in ogni dove è bene che metta i servizi a gara e li affidi agli operatori più capaci, in cambio di prestazioni all’altezza e a un prezzo di mercato. Esattamente quello che con Autostrade per l’Italia non è accaduto.
E non è accaduto, in quanto da nessuna parte del contratto con l’Anas (e dunque lo Stato) c’è scritto che i ponti debbano cadere o che ad Acqualonga (Avellino), giusto per ricordare uno dei casi più clamorosi, un autobus cada da un viadotto facendo 40 morti in un tratto dove il guard rail non era in condizione di trattenere il mezzo. Su tutta questa vicenda solo il Movimento Cinque Stelle ha fatto sin dal primo giorno una crociata, e non perché i Benetton in cima alla catena di controllo siano brutti e cattivi. Gli imprenditori sono imprenditori, e fanno la loro parte, quindi non hanno senso le battaglie a prescindere. Il motivo della guerra è stato invece un altro: in un Paese dove tutti fanno sacrifici e lo Stato permette ad alcuni privati di arricchirsi sulle spalle del pubblico oltre ogni ragionevole misura, solo una forza politica estranea alle pressioni delle lobby e del potere dei concessionari poteva fare per una volta gli interessi dei cittadini.
Questo spiega l’iter avviato dall’ex ministro Danilo Toninelli per revocare la concessione ad Autostrade, ma anche la campagna di stampa da parte di giornali tradizionalmente ben oliati dai Benetton e dalle loro società partecipate per far apparire proprio Toninelli come un incapace, un gaffeur, un nemico dei cantieri, il prototipo di quell’Italia del No che non dorme la notte per capire come portare il Paese in recessione. Dunque, mentre il Governo gialloverde (Conte 1) tirava avanti, il titolo Atlantia recuperava lo stesso valore di prima del crollo del ponte Morandi, grazie alla convinzione che il nemico delle élite Salvini alla fine un regalino a quelle stesse élite l’avrebbe fatto, impedendo ai 5 Stelle di revocare la concessione.
Caduto quel Governo e arrivato quello col Pd, ai Benetton doveva andare anche meglio, perché i dem sui concessionari sono stati sempre sensibili e l’ultimo aumento delle tariffe, giusto per ricordare, l’ha firmato l’allora ministro Delrio, raccogliendo il pianto dei signori dei caselli, tanto in difficoltà da investire un minuto dopo miliardi di euro per comprarsi Abertis (il maggiore concessionario autostradale spagnolo) e persino il tunnel sotto la Manica. Gli italiani, insomma, pagavano i pedaggi e i lauti guadagni finivano investiti in altre parti d’Europa. Una festa che però è durata poco. E questo per due motivi: il primo è che la magistratura ha scovato altri comportamenti ritenuti illeciti proprio sul controllo della sicurezza e stabilità di altre infrastrutture, e questo è indifendibile dopo che gli stessi Benetton in persona ci hanno messo la faccia giurando che mai più si sarebbero verificati di questi episodi.
Il secondo motivo è che il Pd di oggi non è il Pd di ieri tenuto al guinzaglio dalla Confindustria, e nonostante un primo tentativo di difesa degli interessi di Atlantia poi è sceso il silenzio. Un atteggiamento che non è detto che duri, ma che comunque avrà di fronte i 5 Stelle diventati più capaci di prima e ora in grado di imporre pure all’alleato la fine di un privilegio indecoroso. Fino alla caduta del ponte Morandi nessuno conosceva infatti i dettagli del contratto tra lo Stato e Autostrade, con dentro margini garantiti fuori mercato. Adesso invece proprio i mercati hanno capito che in Italia c’è qualcuno in politica che fa sul serio, e con l’avvicinarsi della revoca ai concessionari hanno cominciato a vendere il titolo e farne scendere il valore, determinando la probabile uscita di scena dell’Ad Castellucci travolto più dal crollo azionario che da decine di morti.