“Dal punto di vista delle norme vigenti è sbagliato parlare di censura. Facebook è un soggetto privato che fornisce servizi a condizioni rese trasparenti agli utenti nel momento in cui avviene l’iscrizione e si accettano le regole. Dunque siamo di fronte a una violazione pacifica e palese: le policy dicono una cosa e Casapound ne ha fatta un’altra”. Non ha dubbi l’avvocato Guido Scorza, uno dei massimi esperti di diritto delle nuove tecnologie, commentando la decisione del popolare social network di cancellare le pagine di Casapound Italia e Forza Nuova perché incitavano all’odio.
Dunque, online come altrove, valgono le regole fissate dal padrone di casa.
“Esatto. Sotto il profilo privatistico la scelta è legittima. E’ come il fornitore di acqua che chiude il rubinetto a chi non paga le bollette. Come e quando Facebook sia arrivata a questa decisione, in base a quale istruttoria, lascia il tempo che trova. Diventa una questione di diritto privato, tra fornitore e fruitore”.
L’unica strada, come tra l’altro hanno già annunciato i due partiti di estrema destra, è rivolgersi a un tribunale?
“Se Casapound ritiene di non aver violato quelle condizioni, con gli ostacoli che chiunque di noi incontrerebbe, deve rivolgersi al foro di Santa Clara, in California e intentare una causa. è scritto nelle condizioni generali che hanno accettato. Se il giudice si convince ordina a Facebook di ripristinare i contenuti. Ma questo vale per tutti. Sono migliaia le persone che si sono viste chiudere un account, anche per molto meno”.
Qualcuno dietro la scelta di Facebook vede una violazione del diritto alla libertà di parola.
“La risposta dell’avvocato è semplice. Il contratto è quello. Non ci piove. Oggi, quella decisione, è pienamente legittima. Il tema è se in futuro decisioni come queste siano sostenibili o meno dal punto di vista democratico. Secondo il mio parere personale, no. Ormai i social sono diventati di fatto un pezzo di infrastruttura democratica immateriale. E’ fuor di dubbio che perdere il diritto di utilizzare Facebook significa vedersi ridimensionare, in modo importante, la libertà di parola. Da questo punto di vista i tempi potrebbero essere maturi per interrogarsi sull’introduzione di regole che oggi non esistono, e cioè che i contenuti non si toccano finché ad ordinarlo non è un giudice. Ovviamente è una scelta coraggiosa, perché significherebbe aumentare il rischio che contenuti inopportuni, o addirittura illeciti, rimangano online più a lungo”.