di Valeria Di Corrado
Work in progress al Senato per disciplinare l’ingresso e l’uscita dei magistrati in politica. Cinque i disegni di legge proposti dai senatori Francesco Nitto Palma, Giacomo Caliendo e Pierantonio Zanettin del Pdl, da Felice Casson del Pd e Lucio Barani del Nuovo Psi. Tutti convergono nella stessa direzione: rendere sostanziale il principio della terzietà del giudice. Entro la prossima settimana i relatori delle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia di palazzo Madama chiuderanno la discussione generale, preambolo per la stesura di un testo unificato, sul quale si avvierà poi la fase emendativa. Forse questa è la volta buona per arrivare al risultato. Il primo a volerlo è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che più volte è ha sollecitato l’intervento delle Camere.
Cosa dice ora la legge
L’attuale normativa pone già delle limitazioni, che però il legislatore vorrebbe rendere più vincolanti e ampliare anche alle elezioni amministrative. Il Testo Unico (dpr n. 361 del 30 marzo 1957) prevede che i magistrati non siano eleggibili nel territorio sotto la giurisdizione dell’ufficio nel quale erano impiegati nei 6 mesi precedenti la data di accettazione della candidatura. In modo da impedire l’esercizio di qualsiasi captatio benevolentiae sugli elettori. Allo stesso modo, se non vengono eletti, non possono tornare ad esercitare le loro funzioni nella circoscrizione in cui si sono svolte le elezioni, per un periodo di 5 anni. Il rischio infatti è che, dopo aver rappresentato una parte politica, un giudice perda il requisito dell’imparzialità. Lo ha spiegato anche la Corte Costituzionale, dopo le numerose censure sollevate su questa norma. I magistrati avendo svolto la campagna elettorale in quella circoscrizione “ha verosimilmente potuto contrattare rapporti della più diversa natura (di amicizia, di contrapposizione, di riconoscenza, di risentimento) che potrebbero far apparire dubbia la correttezza delle sue decisioni”. Il caso Ingroia ha dimostrato che la normativa nazionale può essere bypassata. Candidato in Sicilia come capolista alla Camera, pur essendo stato procuratore aggiunto di Palermo, per aggirare l’ineleggibilità Antonio Ingroia si è presentato anche in tutte le altre circoscrizioni italiane. Se fosse stato eletto avrebbe potuto decidere per quale optare, ma resta il fatto che i voti raccolti in quel territorio potrebbero essere stati viziati. Per riparare questa falla sarebbe necessario trasformare l’ineleggibilità in incandidabilità, in modo che la Corte d’Appello di competenza depenni automaticamente la candidatura.
La falla delle amministrative
Per quanto riguarda poi le elezioni amministrative, il decreto legislativo n.267 del 2000 si limita a stabilire che non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale, nel territorio in cui esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai Tar, nonché ai giudici di pace. Questa blanda limitazione ha permesso che si verificassero casi in cui il magistrato è tornato nel suo ruolo in un ufficio distante 20 chilometri dalla città di cui prima era sindaco. Nella scorsa legislatura il senatore Francesco Sanna, rieletto alla Camera nelle fila del Pd, aveva elaborato un disegno di legge volto a introdurre limitazioni all’elettorato passivo delle toghe negli organi di governo di regioni ed enti locali. Ma quando si è affrontato il tema del ricollocamento in servizio dei magistrati in aspettativa per motivi politici da anni, si è avuta una divergenza di vedute che ha fatto naufragare il ddl. Alcuni protendevano per ricollocare i giudici fuoriusciti dal Parlamento nella magistratura consultiva, altri temevano che il Consiglio di Stato diventasse un cimitero degli elefanti o, al contrario, un binario preferenziale per la carriera. Lo stesso problema si è posta anche questa volta. “I più integralisti – spiega il senatore Francesco Nitto Palma – chiedono che il rientro in magistratura venga escluso e i giudici siano indirizzati verso l’Avvocatura di Stato. Come succede già in altri paesi europei (ndr, la Spagna). Comunque questa volta sembra che entrambe le commissioni vogliano raggiungere l’obiettivo più volte sollecitato da Napolitano”.