O siamo d’accordo a realizzare i punti del nostro programma o non si va avanti. Ha esordito così Luigi Di Maio dopo le consultazioni nella Sala dei Busti a Montecitorio con il premier incaricato Giuseppe Conte. Dopo aver consegnato all’avvocato venti punti per un programma di governo, il capo politico del Movimento 5 Stelle ha affermato che gli stessi rappresentano la condizione imprescindibile per formare l’Esecutivo giallorosso e che in caso contrario ritiene sia meglio tornare al voto. Parole che sono suonate al Pd come un ultimatum e che hanno provocato una levata di scudi al Nazareno, dando il via all’ennesima giornata di trattative tutte in salita. Un dialogo che, prima dell’opera di mediazione dello stesso Conte, sembrava tornato quasi impossibile tra le due forze politiche. Ma diversi sono stati i problemi anche all’interno dei Cinque stelle.
IL CAPO POLITICO. Colpito dallo strappo di Matteo Salvini, Luigi Di Maio da oltre venti giorni è tormentato. Ha mantenuto a lungo il forno aperto con la Lega, ma i gruppi parlamentari si sono subito orientati sul mantenere le porte chiuse ai traditori e fare un’intesa con i dem. Prima allora il capo politico ha posto come condizione un Conte bis, poi i dieci punti di programma ora diventati venti, e infine il voto su Rousseau. Poi ieri l’intervento dopo le consultazioni, rivendicando ancora l’attività svolta nei 14 mesi in giallo-verde e frenando sull’abolizione dei Decreti sicurezza simbolo della lotta alle Ong e ai migranti portata avanti da leghisti.
Abbastanza per far agitare sia i dem che buona parte dei Cinque stelle. Il Movimento ha più volte ribadito che il leader resta Di Maio, ma i continui intoppi all’accordo per il nuovo Esecutivo comunciano ad essere digeriti sempre peggio dai gruppi. Il leader rischia. Se il Governo non vedrà la luce potrebbe essere indicato lui come principale responsabile delle difficoltà per il Paese e dell’esito del voto che con ogni probabilità consegnerebbe l’Italia alla Lega. E se invece arriverà il Conte bis, con tali manovre, sempre Di Maio potrebbe condannarsi da solo a fare il numero due. La strada della mediazione torna così ad essere la principale.
LA TELA. Alle parole di Di Maio ha subito risposto con un tweet il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando: “Incomprensibile la conferenza stampa di Luigi Di Maio. Ha cambiato idea? Lo dica con chiarezza”. . “Patti chiari, amicizia lunga. Stiamo lavorando con serietà per dare un nuovo Governo all’Italia, per una svolta europeista, sociale e verde. Ma basta con gli ultimatum inaccettabili o non si va da nessuna parte”, ha aggiunto Nicola Zingaretti. Tra un’accusa e l’altra è poi ripreso il difficile lavoro di tessere la tela giallorossa. Tanto che i pentastellati hanno assicurato di aver chiesto solo di mettere al centro il programma e non le poltrone, cercando così di correggere il tiro, e poi hanno ammorbidito la linea anche sul nodo dei migranti. “Sui decreti sicurezza vanno accolte le autorevoli indicazioni del Presidente della Repubblica – ha dichiarato Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato del M5S. “Il M5S – aggiunge – vuole che si creino le condizioni per la redistribuzione degli immigrati sul territorio europeo”. E sul ripartire dalle indicazioni date da Sergio Mattarella si è detto d’accordo anche Zingaretti.
TOTO MINISTRI. Il problema poltrone comunque c’è e ancora una volta sarà Conte a doverlo sciogliere. Partendo da quella di vicepremier a cui ambisce Di Maio. Il presidente incaricato appare così orientato a non nominare vice e a scegliere come sottosegretario alla Presidenza del consiglio un uomo di sua fiducia slegato dalle due forze politiche, particolare difficile però da far digerire ai dem. Per il Mef circolano intanto i nomi di Lucrezia Reichlin, Marco Buti, Dario Scannapieco, Daniele Franco, Salvatore Rossi e Carlo Cottarelli. Al Viminale si parla di Franco Gabrielli e Alessandro Pansa. C’è poi l’ipotesi di un tecnico anche per la Farnesina, mentre per la Difesa si parla ora di Ettore Rosato, Lorenzo Guerini e Tommaso Nannicini. Tra le donne si fanno invece largo Debora Serracchiani, Lia Quartapelle, Marina Sereni, e Teresa Bellanova, in quota per il Ministero del Lavoro. Per il Sud si fa invece il nome di Francesco Boccia e per il Mit sono in corsa Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva.