I numeri, come si sa, sono argomenti testardi. E disegnano, soprattutto, un quadro che difficilmente può essere smentito o falsificato, stando sull’orizzonte dei freddi e oggettivi numeri. Sarà anche per questo che ieri pochi esponenti di opposizione si sono avventurati nel criticare gli ultimi dati Istat sul mondo del lavoro e relativi a giugno 2019. Per un semplice motivo: non c’era nulla da poter criticare. La disoccupazione, infatti, a giugno segna la quarta flessione consecutiva, scendendo al 9,7%, in calo di 0,1 punti percentuali su maggio. Si tratta del tasso più basso da gennaio del 2012, ovvero da sette anni e mezzo a questa parte. I disoccupati sono scesi di 29mila nel corso dell’ultimo mese, con un calo che ha riguardato gli uomini come le donne e tutte le fasce d’età, ad eccezione dei giovani tra 25 e 34 anni.
In calo, questa volta ai minimi dall’aprile del 2011, anche il tasso di senza lavoro tra i più giovani: nella fascia 15-24 anni, la disoccupazione scende di 1,5 punti percentuali e si porta infatti al 28,1%. E a tutto questo si aggiunge anche, come detto, un’altra ottima performance sul fronte dell’occupazione: a fronte di un calo di 28mila disoccupati, infatti, il numero di occupati è in crescita di 10mila persone. Se si guarda all’andamento per età, sono in aumento gli occupati 15-24enni (+10mila) e i 35-49enni (+5mila), in calo i 25-34enni (-4mila) e gli ultracinquantenni (-18mila). Su una forza lavoro leggermente più sottile, il tasso di occupazione sale al 59,2% (+0,1 punti percentuali) segnando così un nuovo massimo storico: il livello più alto da quando sono iniziate le serie statistiche, ovvero dal 1977.
SALGONO I POSTI FISSI. Un record bello e buono, certificato dall’Istat e che ha messo a tacere i tanti che avevano già condannato il sistema-Italia all’implosione appena insediatosi il Governo Conte. E invece non c’è dubbio che su questa ripresa abbia inciso – e tanto – il decreto Dignità, fortemente voluto dal ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e che ha messo un forte freno al ricorso e all’abuso dei contratti a tempo determinato, agevolando invece quelli a tempo indeterminato. Non è un caso che gli unici a commentare sono proprio i pentastellati: “I dati – si legge in un post pubblicato dal Blog delle Stelle – continuano a smentire chi accusava il Governo e in particolare Di Maio di un presunto disastro economico. La verità è opposta: nonostante tutte le difficoltà internazionali, tra hard Brexit e tensioni commerciali che coinvolgono Stati Uniti, Cina e la stessa Unione Europea, l’Italia regge e garantisce ai suoi cittadini miglioramenti sensibili”. Non va dimenticato, peraltro, che, oltre ai livelli occupazionali, continuano ad aumentare anche i posti di lavoro stabili (+43mila a giugno). “Quantità e qualità di lavoro stanno camminando insieme, a differenza che nel passato”, esultano ancora i Cinque stelle.
NUOVO SCONTRO. Al di là dei numeri, però, ora la questione rischia di diventare un nuovo terreno di scontro all’interno della maggioranza. La Lega, infatti, qualche mese fa ha presentato una proposta di legge di fatto per smontare alcune novità inserite all’interno del decreto Dignità, specie in relazione allo stop ai contratti a tempo. Facile, ovviamente, immaginare che il progetto del Carroccio, che vede nel sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, il suo massimo sponsorizzatore, sia già naufragato, a vedere questi numeri. Ma il progetto dei Cinque stelle nell’ambito occupazionale è chiaro: dopo il dl Dignità e il Reddito di cittadinanza, tocca al salario minimo, proposta cardine per il Movimento, tanto da averla portata anche in Europa. Ma anche su questo – nonostante sia un provvedimento contemplato anche dal contratto di Governo – potrebbero presto aprirsi nuovi dissidi all’interno della maggioranza, con il Carroccio che continua a storcere il muso, più in linea con Pd e FI che con i Cinque stelle. Con questi dati e questi record, però, sarà difficile per Salvini e compagni chiudere le trattative. Perché, e il Capitano questo comincia a capirlo, dopo le parole servono i fatti. E dietro i numeri ci sono proprio i fatti.