di Maria Giovanna Maglie
Una città è una città e il Paese è il Paese, anche quando le città sono tante, di tutte le grandezze e tendenze, anche quando c’è la capitale di mezzo, e si può sempre ricordare agli immemori che negli ultimi vent’anni a sinistra hanno vinto quasi sempre le elezioni locali, hanno perso sempre quelle nazionali, con due eccezioni, il 1996, quando il centro destra si divise, il 2006, quando Prodi vinse con ventiquattromila voti e finì come finì; che anche oggi i sondaggi nazionali sono netti nel rimarcare il vantaggio costante e crescente del partito del Cav. Se poi le città il centro sinistra le ha vinte, come nei ballottaggi di ieri, tutte a scendere, ovvero con un numero così risicato di elettori e un numero così alto di astenuti da far credere che sia definitivamente scomparso il vizio italiano del voto come diritto dovere o comunque come riflesso spontaneo, forse c’è poco da festeggiare.
Anche se festeggiare è d’uopo per chi ha fatto cappotto, infatti le cose sono diverse. Se poi le città il centrodestra le ha perse anche perché non ha azzeccato un candidato, e non lo ha fatto in modo talmente palese e dichiarato che, fosse il vecchio sceriffo Gentilini a Treviso, fosse l’impopolare sindaco uscente Alemanno a Roma, si sapeva dal primo giorno come sarebbe finita, forse il dato è psichiatrico, servirebbe un dottore per capire le ragioni oscure e curare il male orribile dei dirigenti del Pdl incoscienti e sciuponi, ma un dottore di quelli bravi. Resta il fatto che la capitale se l’è aggiudicata Ignazio Marino, quando sarebbe bastata non dico una risorsa vera e seria, non si pretende tanto dai moderati e liberali italiani, ma anche solo una faccetta fresca qualunque uscita con giochino di carte da provvide primarie, che so io un congresso anche finto, un tesseramento, quelle cose antiche dei partiti radicati sul territorio invece che sul botulino.
E’ fatta, e ci sarà tempo per pentirsi amaramente, per osservare l’arroganza e l’imperizia, l’estremismo e il conformismo del chirurgo che già si candida a nuova guida morale del Paese dal Campidoglio. Mi sbaglio? Accetto scommesse, è il bis del caso Moratti a Milano, e voglio vedere in quanti dei furbissimi elettori non militanti di Pisapia oggi rifarebbero quella scelta a dir poco leggera. A governare le città italiane in epoca di patto di stabilità, di fondi ridotti a nulla, non ce la farebbe uno capace, figurarsi questi personaggi tanto improvvisati quanto presuntuosi. Per Roma non prevedo niente di buono, altro che primato di arte e turismo, ma è una storia vecchia.
I sondaggi diffusi contemporaneamente, come dalla seria Tecné che lavora per la sinistrorsa Sky tg24, affermavano nel contempo il contrario, ovvero che, nonostante la disgrazia della Lega e il collasso di quel che fu la destra di An, gli azzurri vengono accreditati di un congruo vantaggio nel caso in cui gli italiani fossero chiamati a rinnovare il Parlamento, che insomma la rimonta del Cav nonostante il disastro rappresentato dalla sua classe dirigente, e del quale reca suprema responsabilità, è continuata anche dopo il voto, e si è concretizzata in un sorpasso che, si deduce agevolmente, terrorizza o dovrebbe il centrosinistra. E allora? Allora niente. Il Cavaliere è ancora convinto che la grande coalizione sia l’unica strada percorribile, cercando di piantare bandierine da rivendicare, dall’abolizione totale dell’imposta sulla prima casa al no all’aumento dell’Iva, passando per la detassazione dei nuovi assunti. Aspettando la magistratura o qualche variaible impazzita del Pd. Non ci fosse la crisi che ci mangia, verrebbe da dire che barba che noia.