Con il Governo gialloverde ogni promessa è un impegno da portare a termine. Poco importa se la faccenda sia terribilmente complicata perché come ha dimostrato ieri il guardasigilli Alfonso Bonafede, depositando la bozza di riforma della giustizia (ECCO IL TESTO), tutto è possibile. Un testo articolato, lungo e dettagliato, che si propone di riorganizzare l’intero settore da troppo tempo abbandonato a sé stesso dalla politica. Al centro del progetto di riforma c’è il Consiglio superiore della magistratura che, in questi ultimi tempi, è finito nell’occhio del ciclone perché travolto dall’inchiesta di Perugia sul cosiddetto mercato delle toghe. Proprio per questo non si poteva che partire da lì, dal sistema delle nomine ai vertici degli uffici giudiziari che devono essere “inderogabilmente” avviate e istruite “secondo l’ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti”. Un concetto di buon senso che rende più complicati quelli che a Roma vengono definiti gli “impicci” e al contempo evita che le sedi restino vacanti per lunghi periodi, come successo anni fa a Napoli. Unica deroga a questo principio è la nomina dei posti di primo presidente e procuratore generale della Cassazione.
RIVOLUZIONE AL CONSIGLIO. La riforma introduce nell’iter per le nomine anche “l’obbligo di audizione dei candidati, dei rappresentanti dell’avvocatura, dei magistrati e dei dirigenti amministrativi assegnati all’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati e di specifica considerazione degli esiti di tali audizioni nell’ambito della valutazione complessiva”. L’elezione da parte dei magistrati ordinari di venti componenti del Csm avverrà in altrettanti collegi e l’individuazione dei componenti eletti avviene in due fasi, “la prima diretta ad eleggere i magistrati destinati a far parte del Consiglio superiore della magistratura a seguito di sorteggio o subentro, la seconda diretta ad effettuare il sorteggio dei magistrati componenti il Consiglio superiore della magistratura”. Inoltre i componenti del Csm torneranno ad essere 30, di cui 20 togati e 10 laici, ossia com’era prima della riforma del 2002 che li ridusse a 24, di cui 16 togati e 8 eletti dal Parlamento. Tra le rivoluzioni previste dal testo anche lo stop ai laici provenienti da Camere o Governo perché ora verranno scelti tra “professori ordinari di Università in materie giuridiche e tra gli avvocati” che hanno almeno 15 anni di attività purché “non ricoprano la carica di parlamentare, nazionale o europeo, o non l’abbiano ricoperta negli ultimi 5 anni”. Inoltre un ex togato del Csm potrà presentare domanda per un ufficio direttivo “prima che siano trascorsi 4 anni” dal termine del suo mandato a Palazzo dei Marescialli e per due anni non può essere collocato nuovamente fuori ruolo.
Ad indicare le priorità dell’azione penale, ossia a quali reati dare precedenza, sarà il Csm. Il decreto sarà in larga misura, come già annunciato, improntato a cercare di ridurre i tempi del processo infatti mirerà a introdurre un limite massimo di durata per le indagini preliminari di 6 mesi per i reati minori e di 1 anno e mezzo per i più gravi. La stessa udienza davanti al gup verrà potenziata e fungerà da filtro perché il rinvio a giudizio sarà limitato ai soli casi in cui gli elementi raccolti permettano l’accoglimento dell’accusa.