Non avevamo sentito parlar di loro per un bel po’ di tempo. Magari qualcuno aveva pensato che la questione, nel frattempo, si fosse risolta. E invece no. Era ancora abbondantemente in alto mare. Al di là dei meme storici “e i marò?”, nulla è cambiato. Nel frattempo, però, si è arrivati al capitolo finale di questa infinita vicenda nata nel febbraio 2012 quando, al largo del Kerala, i marò del reggimento San Marco Massimiliano Latorre e Salvatore Girone uccisero due pescatori indiani perché scambiati per pirati.
La vicenda è arrivata ieri davanti alla Corte arbitrale internazionale dell’Aja che dovrà decidere a chi spetta la giurisdizione e, dunque, chi dovrà pronunciarsi sui due fucilieri: se la magistratura italiana o quella indiana. L’ultima tappa, però, è tutt’altro che “ultima”: se ieri si è aperta l’udienza, infatti, quest’ultima, a porte chiuse, durerà due settimane, fino al 20 luglio, ma la sentenza arriverà, in base alle norme procedurali, entro sei mesi.
BOTTA E RISPOSTA. I marò “sono funzionari dello Stato italiano”, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni “a bordo di una nave battente bandiera italiana” e “in acque internazionali”, e pertanto “immuni dalla giustizia straniera”. Questa la linea espressa dall’ambasciatore Francesco Azzarello aprendo l’udienza. Una tesi condivisa anche dall’allora ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, che sulla partita dei marò arrivò anche a dimettersi dal Governo Monti. I due fucilieri, dopo aver scontato un lungo periodo di carcere preventivo, si trovano in Italia dal 2014, in attesa della conclusione del giudizio di arbitrato, privati del passaporti e con l’obbligo di firma. E con a carico due procedimenti, uno in sede civile e l’altro militare.
“Agli occhi dell’India non c’è presunzione di innocenza: i marò erano colpevoli di omicidio ancora prima che le accuse fossero formulate”, ha sottolineato nel suo intervento Azzarello, ricordando che in India “ci sono stati ingiustificabili rinvii del processo” e “sono state inventate speciali procedure, in violazione con la stessa Costituzione indiana”. Di tutt’altro avviso, ovviamente, la linea indiana: “L’India e due suoi pescatori sono le vittime di questo caso”, ha ricordato invece alla corte il rappresentante di Delhi. E ancora: l’Italia “ha infranto la sovranità indiana nella sua zona economica esclusiva”.
Una tesi fortemente osteggiata da Roma: all’epoca dei fatti, 7 anni fa, i due fucilieri godevano dell’immunità all’estero che spetta ad agenti dello Stato nell’esercizio delle loro funzioni. Il 15 febbraio 2012, quando i due pescatori rimasero uccisi al largo delle coste indiane, Latorre e Girone erano infatti imbarcati nell’ambito di un’operazione anti pirateria su una nave, l’Enrica Lexie, battente bandiera italiana e che navigava in acque internazionali. I due militari hanno inoltre sempre sostenuto di aver temuto un attacco di pirati, abbastanza frequenti in quel tratto di Oceano Indiano, e di aver sparato colpi di avvertimento in acqua all’avvicinarsi del peschereccio St. Antony. Solo la Corte internazionale scriverà la parola fine su questa vicenda. Ma non prima di altri 6 mesi.