Contrordine compagni, ci siamo sbagliati. Altro che flop, il decreto Dignità del suo successore al ministero dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, funziona. Parola del predecessore e spina nel fianco del nuovo Pd zingarettiano, Carlo Calenda. Sì, proprio così. Dopo aver duellato per settimane con il leader M5S praticamente su tutto – dalla Whirlpool a Mercatone Uno fino ad Alitalia – arriva il mea culpa sulle politiche del lavoro targate Cinque Stelle. “Sta avendo effetti positivi sulle conversioni dei contratti”, ammette in un tweet a proposito della prima misura varata da Di Maio non appena diventato ministro.
No, non è un’allucinazione. E’ proprio lo stesso Calenda che aveva definito in un’intervista a La Stampa, il 6 luglio 2018, il decreto Dignità “un mix di incompetenza e populismo”. Ribadendo successivamente il concetto: “Sta creando una grandissima confusione sul mercato del lavoro”. Fino alla parziale retromarcia di fronte all’evidenza dei numeri. “Sta avendo effetti positivi sulle conversioni dei contratti”, da tempo determinato a indeterminato. “Più di quel che pensavo”, verga nero su bianco rispondendo al commento di un follower. Sebbene l’ex ministro dei governi Renzi e Gentiloni imputi allo stesso provvedimento anche “effetti drammatici sui mancati rinnovi”. Ergo: “Va approfondito bene. Manteniamoci oggettivi. Sempre”.
CARTA CANTA. Una presa d’atto quella di Calenda che arriva in concomitanza con gli ultimi dati delle comunicazioni obbligatorie resi noti dal ministero del Lavoro. E che rivelano come, nel primo trimestre del 2019, le posizioni a tempo indeterminato siano salite di 207mila unità rispetto al trimestre precedente, mentre quelle a tempo determinato si sono ridotte di 69mila. La crescita dei posti stabili e il calo di quelli precari sono influenzate dal “notevole aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato (+223mila, +55%)”, si legge nel rapporto, “che raggiungono il livello massimo della serie storica”. Anche se Calenda ha poi precisato di aver “sempre riconosciuto pubblicamente il dato”, invitando però a considerare anche la “perdita complessiva di occupati” – stando ai dati del ministero però l’occupazione rispetto al quarto trimestre 2018 è cresciuta dello 0,4% e su base annua dell’1,1% – e “il dato jobs act che vale più del doppio”.