Da alcuni giorni un presidio di militari controlla l’impianto di smaltimento rifiuti di Rocca Cencia. Una decisione cui Virginia Raggi è stata costretta per rispondere ai roghi dei mesi scorsi, su cui aleggia l’ombra di una mano criminale. “Non c’è dubbio che a questa situazione si sia arrivati perché gli impianti che trattano rifiuti , molto probabilmente, finiscono con l’essere oggetto di roghi o sabotaggi”, spiega non a caso Nello Trocchia, giornalista d’inchiesta da sempre attento al tema del business criminale che ruota attorno ai rifiuti.
Non le sembra paradossale, però, che siamo costretti a chiedere l’intervento dei militari anche per questo?
Assolutamente sì. È la resa, è lo stadio finale, da cui bisogna necessariamente ripartire. Quella dell’esercito è una risposta ovviamente emergenziale, utilizzata in passato anche a Napoli o in provincia di Caserta. Ma non risolve il problema.
In che senso?
A Roma il problema di fondo è impiantistico. Noi possiamo anche mettere i militari davanti al Tmb di Rocca Cencia, ma se l’Ama continua a fare la raccolta e non il trattamento, che sarebbe la parte più remunerativa, e ha meno impianti rispetto a 10 anni fa, non ne usciamo. Per di più abbiamo un solo impianto di compostaggio a Maccarese: ci sono progetti da 15 anni di ampliamento e di costruzione di nuovi impianti, ma al di là delle parole non ne è stato realizzato neanche uno. In tutto questo l’umido negli anni a Roma è triplicato. E così finiamo, in maniera schizofrenica, col pagare altri affinché i nostri rifiuti, che potrebbero diventare concimi e dunque fonte di ricchezza, vengano trasportati al Nord. Questo è il tremendo fallimento della classe politica, sia di ieri che di oggi.
Sette anni fa lei scrisse “Roma come Napoli” (Castelvecchi, 2016, con Sina e Bonaccorsi). Oggi qual è la situazione?
Oggi Roma è peggio di Napoli da un punto di vista della gestione e dell’immagine della città. Da un punto di vista impiantistico siamo allo stesso livello. Se vai a Napoli non trovi più i cumuli di spazzatura. Se non risolviamo la questione impiantistica e non diamo la possibilità di fare una differenziata porta a porta ai cittadini su larga scala e non garantiamo controlli più serrati a chi non rispetta la raccolta, difficilmente Roma riuscirà a dare un’immagine diversa da quella attuale.
Quale?
Militari a presidiare impianti che non hanno ancora preso fuoco e una città piena zeppa di rifiuti. Non è una situazione da Paese civile. Il problema è che il tema dei rifiuti è totalmente ignorato. E questo non ci permette di uscire dalla “dittatura dei privati”, che utilizzano a loro vantaggio le incapacità degli enti pubblici.
Che ruolo giocano invece le mafie?
C’è ovviamente un interesse criminale. Ma bisogna precisare che la storia delle ecomafie non esiste più da anni. Esiste invece l’imprenditoria criminale sulla gestione dei rifiuti. Certo, a volte c’è la mafia, ma ci sono sempre gli imprenditori perché, ad esempio, i camorristi non riescono a mettere in pratica da soli un traffico illecito di rifiuti, non riescono a fare il giro bolla. È questo il punto: quando parliamo di questo business, parliamo di delitti d’impresa.
L’ultimo esempio è l’inchiesta di pochi giorni fa sul traffico di rifiuti nel Lazio.
La cosa disarmante è che al centro dell’inchiesta c’è Vittorio Ugolini, di cui io parlo in Io, morto per dovere (Chiarelettere, 2011, con Luca Ferrari). Nella sua società furono trovati dei fusti tossici dalla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel ’97. Non solo: compariva anche nell’informativa del ’96 di Roberto Mancini (il poliziotto che ha “scoperto” la Terra dei Fuochi, ndr): Ugolini, sebbene allora non indagato, era tra i protagonisti di quella storia di ecomafia.
Già allora…
Ecco, prima dei militari, forse, andrebbero fatti i controlli. Scoprire che a 23 anni dall’informativa di Mancini ritorna questo soggetto, è un fallimento di tutti. Mi chiedo: chi ha vinto la partita? Penso a Mancini, morto per le sue indagini sulla Terra dei Fuochi: hanno vinto loro. Per questo da tempo chiedo, inutilmente, una relazione della commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, che diventi una radiografia delle imprese che hanno fatto affari negli anni ’80 e ’90 e che oggi lavorano ancora impunemente.