da New York
Massimo Magliaro
Se sarà stato storico oppure no, lo sapremo più avanti. Il vertice bilaterale Usa-Cina che si svolge questo weekend nel ranch californiano di Sunnylands sarà infatti a porte chiuse. Perché in quella località sperduta nel deserto arroventato della California? Sunnylands è un po’ un luogo simbolo. Non è una delle residenze ufficiali dei presidenti Usa. Appartiene alla fondazione repubblicana fondata dall’ex-magnate dei media Walter Annenberg e sin dai tempi lontani di Richard Nixon è stato utilizzato dai leaders repubblicani per analoghi incontri riservati ed importanti. Buona parte delle decisioni internazionali più delicate sono maturate proprio qui. Per esempio l’avvio della linea kissingeriana sulla Cina, che fece assai bene alle relazioni tra i due Paesi ed agli equilibri internazionali.
Sul tavolo delle trattative
È certo, fra Usa e Cina ci sono oggi molti problemi. Obama vorrà discutere dei micidiali cyberattacchi cinesi ai sistemi americani. Ma non solo. C’è la composizione del Consiglio dell’Artico nel quale la Cina vuole entrare, sia pure come osservatore permanente. C’è il consumo del petrolio (la Cina ne sarà la prima consumatrice il prossimo anno, superando proprio gli americani). C’é lo scudo antimissile americano che Pechino non ama. Ci sono i 14 missili intercettori supplementari che gli Usa intendono installare in Alaska per un totale di 44 ordigni. C’é un altro radar da installare in Giappone. Tutte misure anti-Corea del nord alle quali Pechino non può dire di sì. Ci sono poi le contese territoriali nel continente asiatico che agli occhi di Pechino appaiono come vetriolo in faccia. Quando Hillary Clinton era Segretario di Stato disse che gli Usa stavano facendo la politica estera attorno al concetto della “conversione verso l’Asia”. Da allora le cose non sono cambiate: basta vedere quanto Obama porti meno attenzione al Medio Oriente e guardi all’Asia dove appunto la Cina è dominante. Gli Usa continuano a trasferire il 60 per cento della loro potenza militare verso il teatro del Pacifico. Obama dà ascolto e ragione a tutti i Paesi che avanzano rivendicazioni territoriali contro la Cina. Ma così non può andare per le lunghe. Gli Usa sanno che dovranno offrire un contrappeso reale alla strapotenza commerciale e finanziaria cinese. Uno dei siti più autorevoli “China-Usa focus” ha detto pochi giorni fa che la “conversione verso l’Asia” della Clinton sta causando un vero e proprio terremoto geopolitico e geostrategico. Pechino ovviamente non è contenta di questa linea. Ecco perché vuole parlare di tutto. Gli affari bilaterali intanto vanno bene. Gli scambi commerciali superano il miliardo di dollari al giorno. Gli investimenti cinesi negli Usa l’anno scorso sono aumentati di 6.5 miliardi di dollari. Il debito Usa verso Pechino è stabilizzato a quota 1000 miliardi di dollari. Se le cose stanno così, si chiedeva l’altro ieri “Foreign Policy, perché Obama deve dare due giorni della sua vita per stare con uno con cui non c’è niente in comune? E ieri aggiungeva in prima pagina “Xi’s not ready” (Xi Jinping non è pronto). Tutto tempo perso insomma. Pechino non ha tabù commerciali. Ne ha altri: le richieste di terre da parte di Paesi confinanti, e non solo. Pechino su queste questioni non è disposta a transigere e tantomeno sugli appoggi americani a queste “pretese”. Insomma è assai difficile che domenica o lunedì, quando l’incontro sarà terminato, venga annunciato un nuovo modello di relazione bilaterali Usa-Cina. Ma non c’è da disperare. La politica estera cinese viene fatta di anno in anno, di decennio in decennio, di presidente in presidente. Xi Jinping ha appena cominciato adesso il suo mandato. A lui, così poco sensibile alle problematiche dei diritti umani nel suo Paese, interessa poco o punto che Obama lo riceva “azzoppato” dallo scandalo intercettazioni che proprio in questi giorni lo investe.