Tutti la vogliono, tutti ne parlano ma quand’è il momento di farla ognuno prende la propria strada. È lo strano destino della riforma della Giustizia che ciclicamente si ripropone senza mai risolversi. Una storia già vista molte volte e che, dopo il fallimento di quella proposta dall’ex guardasigilli Andrea Orlando e con l’attuale scandalo che sta travolgendo i pm, torna prepotentemente al centro del dibattito politico. Non si tratta di una novità perché l’intenzione di una riforma organica del settore era stata messa nero su bianco nel contratto tra M5S e Lega ma ora che se ne sta davvero discutendo, ecco tornare le solite distinzioni.
Quelle emerse con chiarezza ieri quando il vicepremier Matteo Salvini ha spiegato che “la riforma o si fa adesso o non si farà per i prossimi cento anni”, preannunciando un incontro per la prossima settimana con il ministro grillino Alfonso Bonafede. Un’appuntamento in cui il leghista intende parlare soprattutto del fatto che “è incivile leggere sui giornali intercettazioni che non hanno rilievo penale”. Una dichiarazione tutt’altro che conciliante perché proprio l’idea di porre un freno all’uso di questo fondamentale strumento investigativo, come voleva fare il Pd di Matteo Renzi, è da sempre avversato dal M5S che, anzi, le ha perfino potenziate con lo spazzacorrotti.
Ma trovare la quadra sul tema tra le due diverse anime della maggioranza è ancora possibile. Lo ha detto in modo chiaro il guardasigilli Bonafede secondo cui è fondamentale che la Lega sia aperta ad un confronto. Ma soprattutto, prosegue il ministro grillino, è importante che si segua “l’obiettivo indicato dal Presidente Sergio Mattarella (…) alzando un muro tra magistratura e politica”. Un tema, questo, su cui punta con forza Bonafede secondo cui: “se un magistrato vuole avere un ruolo attivo in politica è libero di farlo ma deve sapere che non potrà tornare alla magistratura giudicante e inquirente perché perderebbe quel requisito di terzietà che invece è indispensabile”.