Quando pensava di averla scampata è arrivata la batosta. Per la prima volta nella storia della lunga inchiesta sul crac di Banca Etruria, anche Pierluigi Boschi, a suo tempo il babbo più famoso d’Italia, ora rischia il processo. Ma per lui si profila il reato di bancarotta semplice o colposa, dunque molto più leggero della bancarotta fraudolenta imputata invece a molti altri amministratori e per la quale sono già stati condannati in tre col rito abbreviato, l’ex presidente Giuseppe Fornasari, l’ex direttore generale Luca Bronchi e un altro ex dg poi vicepresidente come Alfredo Berni. Il filone è quello delle consulenze affidate da Etruria. Era praticamente l’ultimo sul quale si stava indagando e in tanti pensavano che sarebbe finita anche lì con un’archiviazione. Invece il pool dei pm di Arezzo ha notificato a 17 ex amministratori, fra cui appunto papà Boschi, l’avviso di chiusura indagini, che di solito è il preludio della richiesta di rinvio a giudizio.
L’OPERAZIONE DEL CDA. Ora il padre dell’ex ministra Maria Elena Boschi ha venti giorni di tempo per convincere la Procura a cambiare strada. E lo può fare con una richiesta di interrogatorio, memorie difensive scritte e altri atti. Altrimenti, trascorso il termine si andrà inevitabilmente all’udienza preliminare dal Gip. Nel mirino ci sono le consulenze per alcune centinaia di migliaia di euro che vennero decise tra giugno e ottobre del 2014 in vista di una possibile fusione tra Etruria con un altro istituto. Per questo furono affidati incarichi a Mediobanca, che avrebbe dovuto essere l’advisor dell’operazione, e ad alcuni studi legali per gli aspetti giuridici, tra cui ci sarebbero lo studio Grande Stevens di Torino e quello Zoppini di Roma. Nel mirino della Procura ci sarebbe l’ultimo cda di Bpel, quello presieduto da Lorenzo Rosi, che aveva per vice presidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi (nella foto). Secondo l’accusa, gli incarichi sarebbero stati inutili, sostanzialmente solo uno spreco di denaro della banca, visto che dai conti uscirono somme consistenti ma che non avrebbero portato alcun risultato.
GROVIGLIO INFINITO. A tutti loro non viene imputata, infatti, una bancarotta dolosa ma la negligenza nel controllare i risultati di quelle consulenze, che si sarebbero tradotte in pagine spesso pletoriche e ripetitive, senza apportare un reale contributo al piano di fusione. Finora Boschi padre, coinvolto nell’inchiesta, aveva schivato la mina del falso in prospetto sulle obbligazioni subordinate (procedimento archiviato) e anche quella della bancarotta relativa alla liquidazione dell’ex dg Luca Bronchi (richiesta di archiviazione). Due vicende nelle quali aveva sempre spuntato l’archiviazione o almeno la richiesta di archiviazione. Dunque, questa è una tegola di non poco conto per chi, l’ultimo Cda quasi al completo, sperava di essere uscito indenne dall’inchiesta.
Insomma, per papà Boschi che era diventato il simbolo politico-mediatico del groviglio Etruria pareva tutto finito. Invece ha sbandato sull’ultima curva. Ora sarà difficile evitare il processo, potrà sperare solo di uscirne indenne. Boschi comunque non è tra i 25 imputati, ex consiglieri di amministrazione, ex revisori ed ex dirigenti di Banca Etruria, chiamati a rispondere del default dell’ex istituto di credito aretino nel processo in rito ordinario, già in corso, che riguarda il filone principale dell’inchiesta, con accuse diverse in base ai ruoli ricoperti nella banca che fu prima commissariata e poi messa in risoluzione. Dove in rito abbreviato sono già stati giudicati e condannati.