Se ha fatto bene alla Lazio, farà bene all’Alitalia, è la profezia dell’ex campione biancoceleste Luigi Martini, passato dallo scudetto del 1974 alla presidenza – anni dopo – dell’Enav, la società che gestisce il traffico aereo. Facili entusiasmi a parte, l’annuncio di un’offerta da parte di Claudio Lotito per rilevare l’Alitalia ha sparigliato la trattativa per salvare la compagnia, mostrando quanto l’operazione stia diventando grottesca e a questo punto avventurosa e pericolosa. Il passaggio del vettore a una cordata pilotata dalle Ferrovie dello Stato non era stato un capriccio del Governo, ma l’ultima chance per evitarne la svendita o il temuto spezzatino.
L’unica offerta credibile era stata quella di Lufthansa, per quanto indigeribile visto che prevedeva tremila esuberi per cominciare e poi chissà quanti altri a seguire. Di tempo per decidere, inoltre, ce n’era poco già a inizio di quest’anno, quando i commissari straordinari facevano notare che la cassa della società rimboccata dal prestito ponte da 900 milioni erogato dallo Stato si stava consumando velocemente. Fs aveva preso però in mano le trattative, ottenendo più volte una proroga dei termini fissati dal Ministero dello Sviluppo economico per presentare il piano di rilancio.
Una defezione dietro l’altra, in partita però è rimasta solo la compagnia americana Delta, disposta a intervenire con il 10% del capitale da ricostituire, e la trasformazione del prestito ponte in azioni, oltre a un 40% da passare alla Ferrovie, non bastavano. Perciò si era lungamente ventilato l’ingresso di Atlantia, la holding della famiglia Benetton, che in questo modo avrebbe ricucito con un Governo intenzionato a toglierle la concessione di Autostrade per l’Italia. Ricucitura che non è avvenuta, come reiteratamente annunciato dall’Ad Giovanni Castellucci. Così tutto il castello stava per cadere, anche perché la Cassa Depositi e Prestiti, lungamente pressata per intervenire direttamente, non può farlo per statuto, essendole interdetta la partecipazione in aziende problematiche.
In ogni caso, l’assenza di altri player privati avrebbe trasformato il salvataggio in una ri-nazionalizzazione dell’Alitalia. Dunque, la promessa fatta dai vertici di Ferrovie al ministro Di Maio al momento è tutt’altro che onorata, e in questo impasse ieri è arrivata l’offerta a sorpresa del patron della Lazio, brillante operatore economico nel settore del global service, oltre che del mondo del pallone, ma sicuramente privo della competenza necessaria per riportare in quota una compagnia dove si sono schiantati tutti, dallo Stato ai capitani coraggiosi di Colaninno, fino agli arabi di Ethiad.
A due giorni dallo scadere del terzo rinvio concesso dal Governo per conoscere il destino di Alitalia, l’unica novità è perciò una proposta dai contorni improbabili. Per quanto il simbolo della Lazio sia un aquila che nell’inno dei tifosi “vola alta in cielo”, c’è poco da stare sereni se quella di Lotito è l’offerta più rilevante sul tappeto, al netto di un’altra annunciata dal Gruppo Toto, altro grande concessionario autostradale, in passato però al centro di un pesante contenzioso proprio con Alitalia, alla quale cedette la sua AirOne.
Così ha avuto gioco facile ieri il Pd, nel denunciare che su questa vicenda il Governo naviga a vista, anche se in realtà è dai vertici di Ferrovie che si attendono risposte. La faccenda è entrata nell’ultimo pezzetto del Consiglio dei ministri economico di ieri, e lo stesso premier Conte ha parlato di più offerte da vagliare. Se però il riferimento era a Toto e Lotito, il minimo che possiamo fare è allacciare le cinture di sicurezza.