Sarà l’autorevolezza del ruolo istituzionale; sarà il mandato di ben sette anni; sarà (perché no) lo stipendio da 160mila euro per i tre membri del Collegio e i 240mila euro spettanti al presidente; sarà quel che sarà, l’unica cosa certa è che Camera e Senato si sono visti arrivare una marea di candidature per il prossimo Collegio del Garante per la Privacy, autorità indipendente oggi guidata da Antonello Soro. In totale le candidatura piovute sul Parlamento sono state ben 357.
La scrematura non sarà facile considerando che alla fine soltanto quattro saranno i membri eletti al Collegio. Anche perché nella mole dei curricula pubblicati da Camera e Senato sipccano i profili di altissimo profilo di gran parte dei candidati. Ci sono esperti di prim’ordine nel campo digitale come Guido Scorza e Fulvio Sarzana; professori riconosciuti a livello mondiale come Vincenzo Zeno Zencovich; dirigenti ministeriali come Pietro Cucumile e dirigenti già in forza all’Authority come Giuseppe Busia, dal 2012 segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali. E poi, ancora, avvocati, generali di brigata (da Carlo Giannetta a Rodolfo Mecarelli) e colonnelli della Finanza (Giovanni Reccia).
SFILZA INFINITA. Nella lunga lista, però, spuntano anche una serie di ex politici e onorevoli che, dopo l’esperienza parlamentare, hanno deciso di provare quella all’interno dell’Authority. Tra gli altri, ad esempio, ritroviamo Doris Lo Moro, senatrice del Pd nella scorsa legislatura e magistrato. Ma non è l’unica. Ad avanzare domanda anche Luigi Manconi, sociologo e attualmente coordinatore dell’Unar (l‘Ufficio anti-discriminazioni all’interno del dipartimento per le Pari opportunità). Tra gli ex, però, c’è anche Giuseppe Stefano Quintarelli, eletto deputato nel 2013 con Scelta Civica, la lista messa su da Mario Monti.
Ovviamente tutti costoro hanno un curriculum che va ben oltre l’esperienza politica, però è quantomeno curioso che chi finora era nei panni dell’elettore (il Parlamento, in questo caso) ora vesta i panni del potenziale eletto. Stesso transfert che vive anche Paola Balducci: avvocato, certo, ma anche assessore alla Regione Puglia nel 2005 e, soprattutto, deputata dei Verdi dal 2006 al 2008 e componente laica del Csm fino a pochi mesi fa (settembre 2018).
L’esercito di “ex”, però, conta anche chi in passato ha ricoperto il ruolo di europarlamentare. è il caso di Vitaliano Gemelli il cui cursus honorum politico inizia addirittura nel 1985 quando diventa consigliere regionale. Abbiamo, ancora, Francesco Sanna che col Pd ha collezionato dieci anni di legislatura, fino alle scorse elezioni del 2018. Non si può non citare Pasquale Giuliano che col Pdl-Forza Italia è stato per quattro legislature in Parlamento oltreché essere stato anche sottosegretario alla Giustizia (prima di intraprendere la carriera politica era magistrato).
ANCORA IN CARICA. A proposito di sottosegretari, però, il nome che fa più rumore è quello di Luciano Barra Caracciolo. Per un particolare che non sfuggirà ai più: parliamo, infatti, dell’attuale sottosegretario agli Affari europei. Ci si chiede cosa abbia spinto un membro di Governo in carica a fare domanda per entrare in un’Authority. E allora ecco che ai dubbi iniziali e validi per tutti (dalla durata del mandato alla retribuzione) si aggiunge quello relativo all’affidabilità del Governo tout-court e al desiderio dello stesso Barra Caracciolo di continuare a farne parte.