Continua a piovere sulla Giustizia italiana. Dopo i veleni tra le toghe romane e le guerre intestine tra Anm e Csm, una nuova tempesta sta per abbattersi sulle Procure del Belpaese. Questa volta ad agitare le acque, in uno scontro che era nell’aria da tempo, è il ministro dell’Interno Matteo Salvini che si è visto bocciare dai giudici, in più occasioni, alcuni provvedimenti. L’ultimo in ordine di tempo è quello relativo all’ordinanza sulle zone rosse, quest’ultime istituite ad aprile per motivi di sicurezza al fine di evitare che chi è denunciato per rissa, stupefacenti o lesioni, possa raggiungere determinate parti delle maggiori città italiane.
Un provvedimento molto caro al leader leghista ma che ieri il Tar della Toscana aveva deciso di annullare in quanto è stata ritenuta “irragionevole l’automaticità tra la denuncia per determinati reati e l’essere responsabile di comportamenti incompatibili con la vocazione e la destinazione di determinate aree”. Un verdetto immediatamente esecutivo che, di fatto, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. In passato altri tribunali, quelli di Bologna e Firenze, avevano preso posizione su casi che, di fatto, avevano bocciato il decreto Sicurezza, tanto caro al leader leghista.
LA MOSSA DEL VICEPREMIER. Per questo ieri c’è stata la sfuriata del vicepremier che ha fatto sapere di essere pronto ad impugnare questo verdetto, come gli altri a lui sfavorevoli in materia di migranti, sia davanti al Consiglio di Stato che all’Avvocatura dello Stato per “valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi, lasciando il fascicolo ad altri, per l’assunzione di posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza, accoglienza e difesa dei confini”.
GUERRA IN CORSO. Deciso ad andare fino in fondo e a rivendicare la propria autonomia in fatto di gestione dell’ordine pubblico, Salvini ha dato mandato ai suoi uffici di tracciare la uscite pubbliche di tutti questi magistrati in fatto di immigrazione. Un dossieraggio con cui il Viminale, in uno scontro mai visto nella storia Repubblica, ha messo nero su bianco soprattutto le attività extraprofessionali di Luciana Breggia, giudice del tribunale di Firenze, ma anche di Matilde Betti, presidente della prima sezione del tribunale civile di Bologna. Alla prima, il Viminale contesta la sua partecipazione alla presentazione di un libro sulla Libia e anche l’aver partecipato ad un dibattito in cui avrebbe censurato la parola clandestini.
Nei confronti della Betti il rimprovero degli uomini di Salvini fa riferimento ad un seminario sul diritto d’asilo in cui la donna aveva svolto il ruolo di relatrice. Dossier che hanno scatenato vibranti proteste a cui ha risposto il leader leghista spiegando di non voler controllare nessuno o creare problemi alla magistratura. Peccato che i numerosi pm coinvolti come anche l’intera Anm non ne siano affatto convinti.