Passano i giorni ma nella Procura più grande d’Italia l’aria resta tesa. E da ieri a saggiare il clima a piazzale Clodio ci sono anche gli ispettori, scelti ad inizio maggio dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che dovranno capire quanto profonda sia la spaccatura tra i magistrati della Capitale. Già perché dopo la deflagrazione dell’inchiesta della Procura di Perugia che ha messo nel mirino il pubblico ministero Luca Palamara, accusato di corruzione, il collega Stefano Rocco Fava e il consigliere togato – da ieri autosospeso – del Csm Luigi Spina, quest’ultimi accusati di rivelazione di segreto e favoreggiamento, la situazione rischia di degenerare.
Del resto a meno di un mese dall’uscita di scena del procuratore capo, Giuseppe Pignatone, non può essere presa sottogamba un’inchiesta che, tra dossier, esposti e spiate, coinvolge anche le nomine del Consiglio Superiore della Magistratura. E che la situazione sia estremamente delicata lo si capisce anche dal fatto che perfino l’Associazione Nazionale Magistrati ha chiesto alla Procura di Perugia di inviare tutti gli atti che si possono mostrare, escludendo cioè quelli sensibili per il proseguo delle indagini, affinché l’organo di autogoverno delle toghe possa avere conoscenza diretta dei fatti e consentire “una preliminare istruzione dei probiviri sulle condotte di tutti i colleghi, iscritti alla Anm, che risultassero in essi coinvolti”.
DIFESA TOTALE. Intanto proprio il magistrato Palamara, difeso dagli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti e Michele Di Lembo, ieri pomeriggio è stato ascoltato dai pm umbri. Un’occasione in cui l’ex presidente dell’Anm e già consigliere del Csm si è difeso a tutto campo, raccontando la propria verità. E così, punto su punto, ha ribattuto alle numerose accuse. A partire da quella di aver intascato una mazzetta da 40mila euro pagata dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara, “in concorso tra loro e con Giancarlo Longo, (…) per agevolare la nomina dello stesso Longo”, bloccata solo grazie all’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al vertice della Procura di Gela.
“Ho chiarito che non ho mai ricevuto alcuna somma di denaro e mai e poi mai avrei interferito per la nomina del procuratore di Gela o per danneggiare qualche parte processuale nei procedimenti disciplinari”. Poi in relazione alle presunte regalie ricevute nel tempo, secondo i magistrati umbri al fine di asservire la propria funzione di consigliere del Csm e di magistrato, Palamara ha spiegato: “Ho chiarito tutti i fatti relativi ai viaggi, iniziando a fornire una documentazione capace di fugare ogni dubbio su qualsiasi ipotesi di pagamento di alcunché”.
E riguardo alla contestazione di aver tentato di screditare il procuratore Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo, rei di avergli creato non pochi grattacapi legali, Palamara ha spiegato: “Non avrei mai inteso danneggiare alcuno, tanto meno i colleghi del mio Ufficio verso i quali ho sempre manifestato stima”. Una tesi che stona con quanto ritengono di aver accertato i pm umbri secondo cui l’indagato, per attaccare i due rivali, si sarebbe servito dell’esposto presentato al Csm dall’amico Fava in cui “venivano segnalate asserite anomalie commesse dall’allora procuratore capo e dall’aggiunto alla pubblica amministrazione”.