Dopo nemmeno un mese dall’uscita di scena del Procuratore Giuseppe Pignatone, la Procura di Roma è diventata il porto dei veleni. Dossier, esposti e indagini, stanno letteralmente inquinando un clima a dir poco teso e che, ormai quotidianamente, si arricchisce di particolari inquietanti, non ultimo la perquisizione di ieri a carico del pm Luca Palamara. Così a nemmeno ventiquattro ore dalla notizia dell’indagine a suo carico, sul magistrato si è abbattuta un’altra pesantissima tegola con i finanzieri che sono piombati a casa sua e, subito dopo, nei suoi uffici a piazzale Clodio, in cerca di riscontri che possano avvalorare l’accusa di corruzione che gli viene contestata dai colleghi di Perugia. Un’inchiesta che anziché sgonfiarsi come qualcuno credeva, sembra destinata a crescere sempre più.
COLPIRE IL NEMICO. Infatti, nella stessa giornata, sono stati iscritti nel registro degli indagati per violazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento Luigi Spina, consigliere togato del Csm di Unicost, la stessa corrente a cui fa riferimento Palamara, e il pubblico ministero Stefano Rocco Fava autore di un esposto al Csm nei confronti di Pignatone e del procuratore aggiunto Paolo Ielo. Che la situazione sia delicata lo si percepisce soprattutto dal contenuto del decreto di perquisizione a carico dell’ex consigliere del Csm ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Diciannove pagine in cui emerge “l’interesse di Palamara per la trattazione di un esposto che il dottor Fava aveva trasmesso al Csm”, la cui notizia sarebbe stata top secret ma che gli era stata rivelata dal consigliere Spina, e dove “venivano segnalate asserite anomalie commesse dall’allora procuratore capo di Roma e da un aggiunto”.
Non meno grave la motivazione di tale interesse perché, scrivono i pm, l’indagato aveva individuato in Pignatone e nel procuratore aggiunto Ielo i suoi acerrimi nemici perché ritenuti “responsabili dei suoi problemi giudiziari”. Di fatto l’esposto di Fava, si legge nell’atto, diventava per Palamara “uno strumento per screditare Ielo” che in precedenza “aveva disposto la trasmissione degli atti a Perugia”. Proprio quelli che, ironia della sorte, facevano nascere l’inchiesta che ora lo sta inguaiando.
Ma c’è di più perché il pm, in qualità di componente del Csm, avrebbe ricevuto dagli avvocati Giuseppe Calafiore e Piero Amara “in concorso tra loro e con Giancarlo Longo, 40mila euro (…) per agevolare la nomina dello stesso Longo”, bloccata dal presidente Sergio Mattarella, al vertice della Procura di Gela. Non solo. Dal decreto emerge che i due legali e l’imprenditore Fabrizio Centofanti, tutti indagati, avrebbero elargito favori e utilità a Palamara, tra cui viaggi, vacanze e un anello da 2mila euro regalato ad una sua amica, in cambio dell’asservimento delle proprie funzioni al Csm.
CAOS NOMINE. Quel che è certo è che l’intera vicenda ha già gettato ombre nella corsa all’erede di Pignatone. E nonostante l’Anm, l’organo di autogoverno delle toghe, si sia affrettato a dire che tutto ciò non avrà peso nella scelta del nuovo procuratore, non si può che pensare il contrario. Del resto il plenum del Csm, previsto per mercoledì, avrebbe dovuto portare all’elezione del procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, sostenuto, tra gli altri, dalla corrente Unicost di Palamara. Ma ora, come fanno sapere fonti interne, nessuno è più convinto e infatti parte del Consiglio starebbe spingendo per far slittare la nomina a giugno.