Luigi Di Maio, da ieri rafforzato dal plebiscito sulla piattaforma Rousseau, aveva commentato il tracollo alle europee dicendo che il Movimento 5 Stelle non perde mai, perché o vince o impara. Nei prossimi giorni vedremo dunque l’effetto della lezione impartita dalle urne, ma intanto registriamo che anche Salvini ha imparato, e accettando le dimissioni del suo viceministro Rixi condannato per peculato ha smentito quello che lui stesso diceva in campagna elettorale, quando assicurava che condanna o no il suo uomo sarebbe rimasto al suo posto.
La mossa di ieri ci evita invece un nuovo calvario come quello già visto col sottosegretario Siri. Perciò siamo di fronte a un ottimo segnale prima di tutto per il Governo, che adesso può imboccare una fase nuova. C’è però un altro aspetto che rende questa vicenda ancora più importante, ed è quell’avanzamento anche in politica di una cultura della legalità che si è perduta dietro l’alibi della presunzione d’innocenza. Tutti i cittadini, sia chiaro, e tra questi anche chi svolge funzioni pubbliche, non sono colpevoli di nulla fino a una sentenza definitiva, ma una politica che vuole definirsi etica non può ignorare le condanne nel processo e per alcuni tipi di reato anche il solo avviso di garanzia.
In passato abbiamo visto pluri-imputati restare attaccati alle loro poltrone, e questo ha contribuito a diffondere la convinzione che in politica tutto è permesso. Per questo motivo, se il fenomeno 5 Stelle fosse servito solo a far cambiare tale atteggiamento, avrebbero già avuto una straordinaria ragione di vita.