Che sia la capitale del lobbismo forse è azzardato. Ma i numeri sono decisamente eloquenti: al 23 maggio – ma sono in costante crescita, ora dopo ora – risultano a Bruxelles registrati 11.823 portatori d’interessi. Parliamo, cioè, di quelle associazioni, think-tank, pensatoi, società multinazionali che fanno attività di lobbying (molto spesso, ovviamente, pagata) nella speranza di influenzare – a volte con fini assolutamente lodevoli, altre volte meno – la politica dell’Europarlamento e, ancora di più, della Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker. Nella lunghissima lista del registro per la trasparenza (in effetti, molto più trasparente sia di quello pubblicato da Montecitorio che di quello pubblicato dal ministero dello Sviluppo economico) compaiono industrie, aziende private, grandi studi legali, ma anche sindacati, ong, associazioni di consumatori.
IL GRANDE BUSINESS. Il giro di soldi che caratterizza l’attività di lobbying è impressionante: circa 1,5 miliardi di euro annui secondo l’osservatorio Corporate Europe. La cifra non deve sorprendere se si considera, per dire, che le lobby che hanno sede in Europa sono 10724, il che vuol dire che un’altra piccola flotta di 1.100 tra industrie e think-tank si muovono in pressing sull’Unione europea pur avendo sede in America, Asia o Africa. Il caso più eclatante è quello di Google che, ovviamente, ha sede in Usa. La multinazionale risulta, dal registro, aver speso in merito alle “attività che rientrano nell’ambito di applicazione del Registro” (più prosaicamente, dunque, per attività di lobbying) 6 milioni di euro nel 2017 (ultimo dato disponibile). E questo, in effetti, dovrebbe far sorgere qualche domanda anche sulla battaglia che c’è stata qualche settimana fa sulla direttiva, poi approvata, riguardante il copyright.
Ma Google è sicuramente in dolce compagnia: tra le associazioni e società che hanno investito più di 5 milioni per essere “presenti” in Europa ci sono 17 associazioni. Dalla società di consulenza e lobbying (che, dunque, verosimilmente ha lavorato per altri) Interel European Affairs, che conta ben 27 persone accreditate e pertanto libere di muoversi a Bruxelles; alla Microsoft; fino alla “European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations” che nel 2018 ha investito 5,4 milioni di euro.
LA FLOTTA ITALIANA. Non poteva, ovviamente, mancare il piccolo ma nutrito esercito italiano. Se si riduce la lunga lista di portatori d’interessi soltanto alle associazioni che hanno sede nello Stivale, ecco che compaiono 810 nomi. Da aprile ad oggi – e dunque casualmente in piena campagna elettorale – si sono iscritte al registro europeo 20 associazioni. Tra queste ci sono società di consulenza (come la Promo Gate srl), organizzazioni non governative (come l’Unione delle Camere penali) e aziende (Piaggio). Tra le associazioni che, però, hanno investito maggiormente per avere “uomini” nei palazzi del potere europeo, svettano Altroconsumo, Eni, Enel, l’Associazione Bancaria Italiana (Abi), più una serie di società di consulenza e organizzazioni non governative.
Curioso, poi, che tra gli 810 ci siano anche 53 sindacati. Dalla Uil alla Coldiretti, fino ai più piccoli e settoriali come il Gus (Giornalisti Ufficio stampa) o lo Spopsam (Società Professionale Operatori in Psicologia dello Sport). Insomma, un esercito che, ovviamente, ha nella maggior parte dei casi la sola intenzione di difendere una categoria. Ma il dubbio che in altri casi ci sia altro, visto il clamoroso business, resta forte.